Dora Mercurio
Cala il sipario sulla 35° edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, l’ultima diretta dallo scrittore Nicola Lagioia. Fra poche ore, infatti, il Lingotto chiuderà i cancelli di quella che è stata l’ennesima edizione record.
Record di stand, di appuntamenti, di metri quadri e di immancabili polemiche che per cinque giorni hanno catalizzato l’attenzione di torinesi e turisti.
Le varie allerte meteo non hanno fatto desistere i tanti visitatori che hanno affollato i corridoi dei tre padiglioni e dell’Oval, sebbene sia stata evidenziata a più voci una gestione non proprio felice degli ingressi che ha comportato code infinite sotto la pioggia.
Le code “chilometriche” hanno caratterizzato anche gli ingressi agli appuntamenti (due ore e più per assistere agli incontri di Murgia e Barbero) e la fruizione dei bagni, con buona pace per le vesciche degli espositori che hanno passato 5 giorni alla ricerca del “leggendario quanto introvabile” bagno a loro dedicato.
Sugli aspetti organizzativi, forse, c’è ancora un po’ di lavoro da fare, anche se gira e rigira sono le stesse problematiche che si ripetono tutti gli anni.
Ci sarebbe da lavorare anche e soprattutto sul fronte editoriale magari venendo incontro agli editori, che ogni anno devono pagare grosse cifre per gli spazi e che spesso con le vendite non riescono a coprire nemmeno i costi di affitto degli stand.
Il Salone potrebbe essere l’occasione per mettere davvero in rete i diversi aspetti dell’editoria, così da non dover obbligare editor, rappresentanti, uffici stampa o giornalisti a passare da uno stand all’altro per conoscersi e creare nuove sinergie. Magari organizzando una sorta di speed date editoriale fuori dagli orari del Salone per instaurare potenziali rapporti lavorativi oggi resi difficili dalla necessità prima degli editori che è pur sempre quella di farsi conoscere dal pubblico e vendere qualche copia in più.
Niente è perfetto, neppure il Salone. Ma nonostante le criticità e le cose in più che si potrebbero fare è innegabile che anno dopo anno siano state coinvolte sempre più persone.
Forse è vero che il Salone del Libro sia diventato sempre di più un contenitore che alla letteratura affianca politica, musica, spettacolo: ma non è colpa dei lettori se politici cantanti e attori trovano editori (ben) disposti a pubblicare i loro libri, sotto forma di biografie o fiction.
La speranza resta comunque che chi viene al Salone per sentire il proprio beniamino, alla fine si volti e trovi in qualche piccolo stand un libro che lo faccia appassionare davvero e che lo spinga a comprarne ancora e ancora.
In particolare, anno dopo anno si è strizzato sempre di più l’occhio ai giovani fino a creare un angolo in cui poter approfondire l’esperienza e i contenuti del fenomeno “BookTok”, qualcosa che trent’anni fa non era neanche ipotizzabile per una manifestazione nata in anni in cui il libro era un oggetto solo di carta e il digitale un futuro ancora tutto da scrivere e decifrare, come infondo ancora oggi è.
In questi anni Lagioia ha cercato di stare al passo con i tempi, ha portato numeri record di ospiti e visitatori e ha capito una cosa importante: non puoi far finta che certe cose non esistano (che siano i social o i fascisti), ma è possibile in qualche modo contenerle e magari trasformarle in qualcosa di positivo.
Non sapremo come sarà la prossima edizione e noi, umili lettori, non avremo pregiudizi e apriremo le braccia alla nuova direttrice. Ma senza dubbio, noi, non «faremo il rullo di tamburi quando Lagioia se ne andrà veramente dal Salone».