Cristina Casalone
Medico Veterinario. Responsabile della Struttura Semplice di Neuropatologia dell’IZSPLV, e di due Centri di Referenza Internazionali OIE per l’Encefalopatia Spongiforme Bovina e per la Scrapie. Responsabile scientifica dell’Ufficio per la cooperazione internazionale mediterranea: “Stor – Scientific & Technical Office REMESA”,a Palermo.
Il mare ha un ruolo fondamentale per la nostra esistenza e per la salute del pianeta. Purtroppo, ad oggi, il suo stato di salute è gravemente compromesso: cambiamenti climatici, inquinamento, perdita di biodiversità e pesca intensiva e illegale lo hanno danneggiato tanto da compromettere la sua funzionalità e produttività e di conseguenza anche la nostra esistenza e quella di milioni di specie.
Particolare attenzione va posta nei riguardi del nostro Mar Mediterraneo, un bacino semichiuso che, secondo la FAO, è uno dei mari più sovra-sfruttati al mondo, con coste densamente popolate e industrializzate, crocevia di numerose rotte navali, caratterizzato da temperature medie elevate e da una predisposizione all’accumulo di contaminanti.
Questo quadro è aggravato dall’intensificarsi del cambiamento climatico, che potrebbe innescare una complessa catena di eventi che alterano drasticamente gli ecosistemi, colpendo le popolazioni marine che vivono in questi ambienti. Il riscaldamento globale, ripercuotendosi fortemente sul funzionamento degli ecosistemi causa un aumento della temperatura delle acque nella fascia costiera, favorendo la sopravvivenza dei microrganismi patogeni presenti.
Inoltre, come ulteriori effetti di questo fenomeno, sono da considerare l’aumento della frequenza di forti piogge, tempeste e inondazioni, che scaricano acque reflue non trattate o non efficientemente trattate nei fiumi e nelle acque costiere, che possono favorire la diffusione di patogeni di origine terrestre anche in ambiente marino, aumentando così il rischio, per le specie marine circolanti, di contrarre infezioni da agenti emergenti.
Per tali motivi si è reso necessario individuare animali sentinella del mare e indicatori del suo stato di salute: i cetacei. Questi rappresentano degli ottimi indicatori dei cambiamenti ambientali a lungo termine, in quanto molte specie sono longeve, vivono nelle aree costiere, sono al vertice della catena alimentare e possiedono una notevole quantità di grasso di deposito (blubber) in cui si accumulano sostanze chimiche e tossiche di origine antropogenica. Ricoprono inoltre un ruolo centrale per l’individuazione di possibili patogeni terrestri nell’ambiente marino, divenendo così importanti indicatori anche per questioni relative alla salute pubblica.
Nel contesto attuale i cetacei sono particolarmente vulnerabili e, di fatto, minacciati da una intensa e sempre crescente pressione antropica che impatta sia a livello di singoli individui che di popolazioni.
Il bacino del Mediterraneo subisce, infatti, forti stress derivanti dalle sostanze chimiche tossiche provenienti da attività umane (pesticidi, metalli pesanti) che andando accumularsi all’interno dei singoli organismi (bioaccumulazione) e poi, di conseguenza, all’interno della catena alimentare marina, possono diventare pericolosi per i cetacei; alcune di queste molecole, definite Contaminanti Organici Persistenti (POCs), nonostante non vengano più impiegati da oltre 40 anni, vengono ancora oggi ritrovati ad elevati livelli nel tessuto adiposo degli animali.
I cetacei dell’area Mediterranea sono inoltre esposti ad un intenso traffico marittimo, che incrementa il rischio di collisioni accidentali. Una pressione turistica in aumento, un’urbanizzazione eccessiva delle coste, il sovrasfruttamento delle risorse ittiche (overfishing) e il global change, continuano ad alterare l’equilibrio del nostro mare rendendolo inospitale per specie sensibili come i cetacei. Le catture accidentali (bycatch), cioè l’intrappolamento all’interno degli attrezzi da pesca, sono un altro importante fattore di rischio per i cetacei del Mediterraneo.
In ultima analisi, ma non per questo meno importante, l’inquinamento da marine litter (macro-meso e microplastiche) rappresenta un’ulteriore minaccia, sebbene l’impatto reale rappresenti ancora un tema molto dibattuto. I macro-residui plastici quando ingeriti sono in grado di creare ostruzione con conseguente riduzione dell’ingestione di ulteriore cibo, del transito alimentare e dell’assunzione di nutrienti, mentre i residui plastici di minori dimensioni, quali le microplastiche, sono in grado di trasportare e rilasciare sostanze chimiche e patogeni.
Grazie al lavoro dei ricercatori del C.Re.Di.Ma (Centro di Referenza per le Indagini Diagnostiche sui Mammiferi marini spiaggiati) con sede presso l’IZSPLV, che coordina la Rete Nazionale Spiaggiamenti costituita da 10 laboratori situati presso gli altri IIZZSS lungo tutto il territorio italiano, in collaborazione con Università ed altri Enti di ricerca, complessivamente, nell’ultimo quinquiennio (2016-2020), è stato possibile formulare un’ipotesi di causa morte (origine naturale/antropica) su oltre il 50% dei soggetti esaminati, ovvero un terzo degli eventi di spiaggiamento registrati annualmente.
Talvolta mare ci restituisce questi animali in cattive condizioni di conservazione, e ogni anno si riesce a portare in laboratorio circa la metà dei 200 cetacei spiaggiati in media all’anno.
Le cause di origine naturale sono risultate la causa di morte più diffusa (72,18%) e tra queste, in particolare, le patologie di origine infettiva rivestono il ruolo principale; alcune patologie, in particolare, sono diventate endemiche ed esercitano un effetto dannoso sul sistema immunitario: è il caso del Morbillivirus, un virus appartenente alla medesima famiglia virale del morbillo umano. Un altro 30% dei cetacei (circa 20 esemplari l’anno) muore per cause antropiche.
In conclusione, quest’impressionante situazione del Mediterraneo sottolinea il fatto che la sopravvivenza futura dei cetacei e dell’intero patrimonio di biodiversità marina dipenderà verosimilmente dai principi di precauzione che verranno adottati e dall’attuazione di precise misure di conservazione per prevenire ulteriori impatti sugli individui e sulle popolazioni.
In una prospettiva basata sul concetto di One Health, secondo la quale vi è un indissolubile legame fra salute umana, salute animale e salute dell’ambiente, che sono reciprocamente interconnesse, è inoltre fondamentale lo studio delle cause di morte di questi animali sia per la ricerca e la conservazione di queste specie rese più vulnerabili dallo stress causato da un ambiente malato, ma anche per la tutela della salute umana.