Ilaria Gelo
La displasia congenita dell’anca è un’anomalia dello sviluppo che, nella maggioranza dei casi, si riscontra alla nascita. Se non trattata in modo adeguato, può portare la testa del femore a spostarsi dalla cavità acetabolare, la posizione in cui normalmente si trova. A trattare l’argomento con Giorgio Diaferia, in una nuova puntata di Antropos-ViverSano, il Dott. Alessandro Aprato, responsabile dell’Ortopedia Pediatrica dell’Ospedale Regina Margherita.
«Prima che bambino venga al mondo si può sapere se sia affetto da displasia» dichiara Aprato. «E appena il bambino nasce viene sottoposto a una manovra per capire se sia o meno un soggetto a rischio.»
In percentuale, i soggetti più colpiti sono donne. Ma ci sono sia componenti genetiche che determinano la displasia, come qualcuno in famiglia affetto dalla stessa, sia posizioni all’interno del grembo materno che inducono il bambino ad avere una predisposizione maggiore.
In ogni caso, la displasia dell’anca varia anche da cultura a cultura. Le culture africane, ad esempio, in cui solitamente i bambini vengono tenuti sulle spalle, sono culture con un livello di displasia minore.
Ma anche tra nord e sud della nostra stessa nazione le percentuali non sono le stesse. Resta ancora da stabilire se ciò dipenda da fattori genetici o ambientali.
Perché arrivare in tempo
Oggi esistono tutori in grado di dare stabilità all’anca del bambino che ancora non è capace di camminare. Ciononostante, «i bambini piccoli devono essere ingessati per garantire che stiano fermi» sostiene Aprato.
«Il gesso è da preferire ai tutori proprio per questo, perché i tutori possono essere tolti mentre il gesso no. Il gesso non è soltanto economico ma continua a essere usato perché funziona bene».
Purtroppo, però, nonostante gli interventi siano relativamente complessi – «una volta venivano fatti a occhio; oggi, grazie agli sviluppi, sono molto più precisi» – alcune diagnosi arrivano tardi. Soprattutto le diagnosi di bambini nati altrove, non sottoposti ad apposite radiografie. Cosa succede in questi casi? Fino ai 15-16 anni si potrà protendere per l’opzione protesica. Ma se l’anca non venisse rimessa a posto entro la maturità, difficilmente sopravvivrebbe 60 anni. E non riuscire a portare un’anca a un’età adulta rappresenta un insuccesso.
Sport e fisioterapia
Ma la muscolatura degli arti inferiori dei bambini si sviluppano normalmente o possono esserci inconvenienti?
«Rimettendo la testa del femore dentro la cavità acetabolare si otterrà una grande plasticità. Quindi, le probabilità che questi bambini sviluppino una corporatura normale sono abbastanza buone» pronostica Aprato. «La fisioterapia sui bambini, rispetto a quella sugli adulti, insegna loro cosa non devono fare. La cosa importante per ottenere risultati efficienti è farla percepire come un gioco.»
I pediatri svolgono un ruolo fondamentale nella cura della displasia. Rapportandosi spesso con i genitori del bambino, possono comunicare all’ortopedico l’affidabilità della famiglia. Ma, soprattutto, conoscendo bene i bambini, sapranno riferire il loro grado di attività fisica; grado che non va assolutamente trascurato. E il Dott. Aprato ci spiega perché:
«Un bambino obeso rappresenta sempre un bambino a rischio. Quindi è bene far fare loro attività motoria, oltre che curare una dieta adatta».
In questi casi, sport consigliati sono il nuoto, in cui le articolazioni si muovono senza essere forzate, e il ciclismo, che grazie al sellino alzato e ai movimenti lineari permette di non consumare l’anca. Le arti marziali, invece, sarebbero da evitare. Le continue rotazioni previste da questo sport, infatti, potrebbero danneggiare l’anca fino a richiedere un intervento.
In ogni caso, praticare uno sport adeguato permette al paziente di arrivare all’intervento preparato, con una buona muscolatura su cui poter contare.
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ABSTRACT
Spesso, in molti neonati e bambini l’anca non riesce a formarsi normalmente. Cosa fare in questi casi? Ce lo dice il Dott. Alessandro Aprato in una puntata dedicata alla displasia congenita dell’anca.