Francesca Grassitelli
“When looking across the sea / do you dream? / Of cords curling around mountains / leaving traits in the distance / lined with shivers sprouting from the rock.”
“Quando guardi il mare / sogni? / Di corde che si arricciano intorno alle montagne / lasciando tratti in lontananza / tratteggiata da brividi che spuntano dalla roccia”.
E’ ciò che troviamo scritto tra le pareti del museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, in occasione della mostra di Otobong Nkanga.
Quasi al punto di volgere al termine (il 30 gennaio del prossimo anno), Corde che si arricciano attorno alle montagne induce i suoi visitatori a riflettere sulla crisi ecologica e sullo sfruttamento delle risorse naturali.
Indagando le storie del colonialismo, le sue ripercussioni sul tessuto sociale e le nuove forme di arte materiale, l’artista celebra così l’importanza dei materiali fisici e della loro cura, persino in un mondo digitalizzato come il nostro.
Ideata appositamente per le sale del terzo piano, la mostra è concepita come un grande progetto site-specific, espressione utilizzata per indicare installazioni pensate per uno specifico luogo e che intrattengono un rapporto organico e di co-dipendenza con l’ambiente circostante.
A spiccare sulla semplicità dell’installazione sono i colori di opere-tappeti dalla forma irregolare, ispirati a minerali come quarzi e malachite. Questi si estendono nello spazio attraverso lunghe corde intrecciate a mano, che a loro volta connettono tra loro oggetti concavi che suggeriscono la manipolazione da parte dell’uomo.
Legno, vetro e terracotta sono i materiali utilizzati, che spesso veicolano suoni dotando l’opera di una componente performativa.
Situata a livello del pavimento per rendere l’orizzontalità geografica, la mostra diviene metafora del viaggio, come forma di collegamento tra punti distanti. E al contempo, mette in dialogo le diverse tradizioni culturali che si intrecciano nella biografia dell’artista: nata in Nigeria e cresciuta in Francia, Otobong Nkanga è attualmente residente ad Anversa.
Gli stessi minerali e materiali organici rimandano agli amuleti che in alcune tradizioni africane vengono regalati ai nuovi nati. Il tappeto, dal suo canto, richiama le storiche tessiture fiamminghe europee.
Così l’artista esprime tutta l’eredità e il valore comunicativo dell’Arte povera, in sintonia con gli insegnamenti del maestro torinese Giuseppe Penone di cui è stata allieva durante il soggiorno parigino.
Ce lo aveva già insegnato Germano Celant, quando affermava che l’arte povera si manifesta essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”.
Allo stesso modo, Nkanga cerca di superare l’idea tradizionale secondo cui l’arte appartenga ad un livello di realtà trascendente, se non del tutto astratto.
La mostra è parte del progetto di collaborazione con il Centre d’art contemporain di Villa Arson, Nizza, in cui è in corso la prima retrospettiva in Francia dedicata a Nkanga e alle sue principali opere finora realizzate.