24 Novembre 2024
Carmela Pontassuglia | I crudi versi di Primo Levi cantano gli strazianti momenti vissuti dalle donne deportate nei campi di concentramento. Ideali razzisti e nazisti che fanno ancora oggi del male all’umanità
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Carmela Pontassuglia

Eliminare le donnenon conformi” alla purezza della razza ariana. Questo, insieme a quello di sterminare l’intera razza ebraica dalla faccia della Terra, uno degli obiettivi specifici dello squallido progetto di Hitler.

Ma, cosa significava esattamente la locuzione “non conformi”?

Donne considerate “inutili” dal regime nazista, perché prigioniere politiche, lesbiche, rom, disabili o prostitute.

“Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome

senza più forza di ricordare

vuoti gli occhi e freddo il grembo

come una rana d’inverno.”

Donne, vittime di una persecuzione eccezionalmente brutale. Spogliate letteralmente della propria umanità e femminilità, violate nel loro animo così unicamente sensibile, private della loro vita e derubate delle loro emozioni.

“Come una rana d’inverno…” scriveva Primo Levi nella sua poesia “Se questo è un uomo”.

Bambine, ragazze, adulte, mamme, figlie, nonne, sorelle che come una rana nuda in un lurido stagno al gelo dell’inverno, erano inermi, costrette a mettere a nudo i loro bellissimi corpi e il loro pudore, davanti agli occhi viscidi di uomini in divisa che sghignazzavano e sorridevano maliziosamente.

Hanno aperto una porta e abbiamo dovuto toglierci tutti i vestiti ed entrare in una grande stanza quadrata. Nel soffitto c’erano questi oggetti che sembravano docce. Ci hanno dato asciugamani e sapone per la disinfezione e abbiamo aspettato

Ruth Siegler, nata in Germania e sopravvissuta ad Auschwitz, racconta la percezione che avvertiva nel campo di sterminio: il confine illogico e sottile tra la vita e la morte, spezzato davanti ai suoi occhi, per mano della crudeltà umana.

La nudità imposta le svuotava della loro intimità

“…Vuoti gli occhi…”

Occhi che piangono vergogna. Occhi senza più il coraggio di guardare il susseguirsi di atrocità che accadevano  in quell’inferno maledetto. Mamme che soffrono nel vedere figlie umiliate o uccise e viceversa.

Liliana Segre, oggi senatrice a vita, nominata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è una delle poche e ultime sopravvissute al massacro di Auschwitz. Durante un’intervista rilasciata al quotidiano online Globalist, racconta:

Avevo un’idea perfetta di come erano fatti i miei zoccoli, ma quello che mi circondava era talmente orribile che io non guardavo. Avevo sempre paura di non ritrovare la mia baracca quando uscivo dalla doccia, che era in un’altra baracca un po’ discosta. Andavo dietro a qualcun’altra, perché anche dopo mesi, soprattutto d’inverno, quando c’era la neve, non riconoscevo i posti. Era tutto uguale, baracche uguali, nessuno ti dava una risposta, non si poteva stare in giro. Andavo a testa bassa dietro a un’altra.”

“…e freddo il grembo”

Donne generatrici di una razza peccatrice, colpevole e indegna. Così erano considerate e per questo umiliate a tal punto da causare la perdita delle mestruazioni. Simbolo per eccellenza di femminilità e intimità, il ciclo mestruale è fonte di vita, di energia, di rinascita e investe le donne di un valore autentico.

Giorno dopo giorno, i sinuosi corpi delle prigioniere perdono le loro originali e morbide forme, trasformandosi in scheletri secchi, che faticavano a reggersi in piedi. Al posto dei seni, la pelle cascante annulla la bellezza impareggiabile delle donne.

“…senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare…”

Continua la tortura per le grandi donne che fino alla fine hanno lottato per sé stesse, per le generazioni future, per un mondo migliore e libero.

Persone senza più un nome, una storia, una personalità. Teste rasate, sorrisi spenti, mani sporche e fragili. Solo un numero, tatuato con forza bruta sulle delicate pelli, le distingue dalle altre migliaia di donne, tutte accomunate da quel pesante senso di nullità che le logora dentro.

“Considerate se questa è una donna…”

Sì, riflettiamo. Consideriamo se queste sono state donne, o meglio, donne trattate da donne. L’odore della vergogna, dell’umiliazione, della spoliazione e della privazione, invade ogni angolo dei campi di concentramento costruiti per ospitare solo ed esclusivamente il debole e inutile genere femminile.

Tra tutti, il Lager di Ravensbrück, situato a 90 chilometri a nord di Berlino, conosciuto dovunque come  “l’inferno delle donne”. Dal maggio del 1933 al 30 aprile del 1945 ha accolto 130 mila deportate provenienti da venti nazionalità diverse, di queste solo il 10% era ebreo e in 50 mila sono morte. È proprio qui che c’è stato l’ultimo sterminio di massa del regime nazista, ignorato dalla storia per tantissimi anni: 6 mila donne sono state uccise, asfissiate.

Gli orrori commessi in quel parco delimitato dal filo spinato dell’indifferenza, sono stati per troppo tempo oscurati e omessi. Donne usate come cavie per esperimenti scientifici; prigioniere selezionate e reclutate per diventare le prostitute dei bordelli destinati allo svago delle SS.

D’altro canto, Ravensbrück è stato anche il campo della resistenza silenziosa di molte donne, che grazie al meraviglioso senso di collaborazione riuscivano a sabotare le munizioni prodotte nelle fabbriche in cui lavoravano. O ancora, custodisce storie di amicizie e solidarietà tra donne: chi scambiava edizioni tascabili di libri che riuscivano a contrabbandare all’interno del campo, chi recuperava pezzi di carta dalle scatole delle munizioni su cui scrivere poesie, pensieri e note.

Gesti di preziosa umanità che contrastavano condizioni di terribile disumanità.

“Voglio vivere per tornare, per ricordare, per mangiare, per vestirmi, per darmi il rossetto e per raccontare forte, per gridare a tutti che sulla terra esiste l’inferno.”

Queste le parole scritte da Lidia Beccaria Rolfi, deportata politica, maestra di Mondovì, sopravvissuta al Lager di Ravensbrück. Figura significativa tra le donne del Novecento, ha voluto raccontare nel suo libro “I taccuini del Lager”, la sua esperienza.

Non si è mai ex deportati”, morta nel 1996, ha speso la sua seconda vita da testimone e divulgatrice degli orrori del nazismo, per contrastare e abbattere ogni forma di negazionismo, che purtroppo continua prepotentemente a dilagare.

“Meditate che questo è stato: vi comando queste parole.” – Primo Levi

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