Francesca Grassitelli
Negli ultimi giorni un nuovo dibattito sta animando l’opinione pubblica, riguardante la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) per il deposito dei rifiuti radioattivi.
Si tratta di un elenco di 67 luoghi ritenuti idonei per la sistemazione definitiva delle scorie radioattive provenienti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, ad oggi stoccati in una ventina di siti provvisori.
A pubblicare la Carta – con il nulla osta del Ministero dello Sviluppo e dell’Ambiente – è stata la Sogin, la società statale che si occupa di smantellare gli impianti nucleari italiani e di metterne in sicurezza il materiale.
Sono sette le regioni individuate come potenziali depositi: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia. Nella Tavola generale allegata alla Cnapi sono indicati anche i Comuni interessati nelle diverse regioni, a ciascuno dei quali è stato assegnato un punteggio sulla base delle rispettive condizioni tecniche.
Per quanto riguarda strettamente il Piemonte, le scorie nucleari potrebbero essere depositate in via definitiva nei comuni di Caluso-Mazzè-Rondissone e Carmagnola in provincia di Torino; Alessandria-Castelletto Monferrato-Quargnento, Fubine-Quargnento, Alessandria-Oviglio, Bosco Marengo-Frugarolo, Bosco Marengo-Novi Ligure e Castelnuovo Bormida-Sezzadio in provincia di Alessandria.
In Italia, infatti, esistono ancora quattro centri nucleari situati a Trino Vercellese in Piemonte, Caorso in provincia di Piacenza, Latina in Lazio e Garigliano in Campania. Sebbene le centrali siano ferme dal 1987, quando un referendum abrogativo ha sancito l’abbandono del nucleare come forma di approvvigionamento energetico, resta ancora da completare il totale smantellamento, la rimozione e la decontaminazione delle strutture.
A partire da questo momento, ha inizio la fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi. Successivamente avrà luogo il seminario nazionale, con la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, al fine di approfondire i vari aspetti del progetto.
Solo quando il dibattito pubblico sarà ultimato, il Ministero dello Sviluppo Economico convaliderà la versione definitiva della Carta e darà il via alla costruzione del Deposito Nazionale e del Parco Tecnologico, che si estenderanno in un’area di circa 150 ettari.
Secondo una stima del Ministero dell’Ambiente, l’area prescelta accoglierà “circa 78mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività”. I rifiuti saranno contenuti in un deposito dalla struttura “a matrioska“: nelle 90 costruzioni in calcestruzzo armato dette “celle” che il deposito ospiterà, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale – i moduli – che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi.
L’investimento complessivo è di circa 900 milioni di euro e si stima che genererà oltre 4.000 posti di lavoro l’anno per quattro anni di cantiere.
D’altra parte, però, sono molte le organizzazioni di cittadini che si stanno attivando per contrastare questo progetto, soprattutto attraverso petizioni a livello provinciale e regionale.
In particolare, Greenpeace non condivide la scelta di scaricare tutto il materiale radioattivo in un unico deposito nazionale – unico caso al mondo. Questa strategia, infatti, potrebbe portare alla “nuclearizzazione” di un nuovo sito che a lungo termine subirà danni irreparabili. Inoltre, nonostante la previsione di un confronto pubblico, Greenpeace rivendica il diritto dei cittadini di dare il proprio consenso prima di tutto ad ospitare il deposito unico. “Sarebbe stato più logico – sostiene la ONLUS – verificare più scenari e varianti di realizzazione del Programma utilizzando i siti esistenti o parte di essi e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni.”