Speciale Sottodiciotto Film Festival
Francesca Grassitelli
Ogni individuo, ogni contesto, ogni momento della storia contribuiscono a ridefinire il concetto di famiglia. Per alcuni la famiglia è una sorella o un fratello, un amico, un genitore o entrambi, per altri il proprio gruppo di studio, la squadra di basket o anche dei compagni di viaggio.
E’ in questo filone che si inserisce il film “Madame” del regista svedese Stéphane Riethauser, in collaborazione con Lovers Film Festival.
Seconda proiezione della sezione “That’s all Families!”, è stata trasmessa sabato 5 dicembre alle ore 21:30 ed introdotta da Vladimir Luxuria.
Il film è stato prodotto nel 2019, per poi inserirsi tra le proiezioni che hanno animato la 21° edizione di SottoDiciotto Film Festival & Campus.
Sotto forma di video-ricordi di famiglia ed interviste, “Madame” analizza il rapporto tra Caroline ed il nipote Stéphane, lo stesso regista, tracciando un doppio autoritratto in cui la matriarca e il nipote omosessuale si confidano.
Madame, che dietro i modi borghesi nasconde un carattere forte, decostruisce in chiave umoristica e con forza sovversiva gli stereotipi di genere.
Per questo, il rapporto tra i due rivela un attaccamento ed una comprensione così profondi. Perché, seppur da prospettive diverse, entrambi si ritrovano ad affrontare e ridefinire continuamente i ruoli di genere.
Lei, con l’aggiunta di immagini d’archivio, traccia una saga familiare della società borghese: racconta la sua carriera di successo, che tuttavia l’ha portata ad instaurare un rapporto conflittuale col sesso maschile. Lo stesso nipote ammette di averla sempre considerata un essere fragile e da proteggere, ricalcando l’immagine borghese della donna relegata in una posizione subordinata.
Lui, d’altra parte, non è mai riuscito ad identificarsi nel ruolo dell’uomo seduttore e di successo, come lo era suo padre.
Proprio questa contraddizione rappresenta il punto di forza del film. Il regista porta davanti ai nostri occhi un giovane qualunque, non troppo diverso da ciascuno di noi, che ci confida di aver sempre vissuto una “doppia vita”. Una è quella più profonda e reale, che lo caratterizza; l’altra si è costruita sulla base di quei preconcetti interiorizzati, spesso in maniera implicita.
Poi arriva la fase della consapevolezza: Stéphane inizia a riconoscere la propria singolarità. Studia se stesso, la società e ciò che essa si aspetta da ciascun individuo. Riconosce la prevalenza del ruolo maschile nei vari aspetti della vita umana e persino nel linguaggio.
Ed è con il linguaggio che il regista esprime la sua profonda empatia, l’attenta analisi dei ruoli di genere. Egli osa parlare dalla sua condizione di uomo, dalla prospettiva di chi è veramente e di chi gli altri si aspettano che sia. Madame Caroline, invece, parla dalla sua condizione di donna.
E con un intimo dialogo intergenerazionale, il regista riesce a rappresentare l’importanza del dialogo, della comprensione e della solidarietà tra gli esseri umani, come punto di partenza per legittimare la nostra singolarità di individui.