Carlotta Viara
Con i suoi trecento e fischia tra ristoranti e bar, il caro vecchio San Salvario è uno dei quartieri torinesi nel complesso più colpito dalle restrizioni dell’ultimo dpcm.
Seppur mitigato dalla deroga sull’asporto, l’obbligo di tirare giù le serrande penalizza – e paralizza – gli esercizi commerciali di questo epicentro della vita (soprattutto notturna, ma con un discreto passaggio anche in pausa pranzo) cittadina.
Meta prediletta, insieme all’inossidabile “Quadrilatero romano” ed all’emergente Vanchiglia, per la movida della bella gioventù bogianen, l’area (storicamente piccolo borghese e che oggi ospita anche molti immigrati e studenti fuori sede) si è conquistata, sul campo, la fama di vivace emporio gastronomico sperimentale.
Racchiude infatti un affascinante universo multietnico, con un’offerta culinaria che spazia dai tradizionali agnolotti al cous cous.
In pochi passi si transita, tra effluvi di soffritto e profumo dispezie, dalla bettola verace al sofisticato cocktail lounge, dallo spartano circolo Arci al localino curato di specialità regionali, dal microscopicolaboratorio “bangla”di street food alla pizzeria gourmet.
Con la piacevolissima probabilità dell’amaro/digestivo cordialmente offerto a fine pasto. Tempi d’oro quelli dei San Simone e dei limoncelli à gogo: ora … silenzio e desolazione.
Per avere uno spaccato di questa realtà da chi la vive al quotidiano, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Roberto Notarpietro, titolare del Boja Fauss (https://www.ristorantebojafauss.com), grazioso ristorante di (ottima) cucina piemontese nel cuore del quartiere. Ecco cosa ci racconta.
Ci fornisci il quadro della situazione attuale qui nella zona?
L’atmosfera è surreale. Insegne spente, strade deserte. Nel nostro isolato siamo rimasti aperti in due o tre; gli altri, magari dopo averci “provato”, hanno preferito chiudere: quando i conti non tornano, va da sé che sia la scelta più conveniente, per quanto sofferta. L’area è sorvegliata, ci sono vari posti di blocco e le volanti passano di frequente.Sul far della sera si inizia a percepire un’inquietudine crescente: non appena finito con le ordinazioni, si serrano i battenti (intorno alle 21.00) e si torna a casa.
Quale il tuo bilancio particolare?
Siamo aperti per l’asporto/delivery dal lunedì al giovedì solo a pranzo, il venerdì sia a pranzo che a cena, il sabato solo a cena e la domenica solo a pranzo. Ridimensionare l’attivitàha comportato un notevole sforzo organizzativo. aggravato dalla necessità di operare nel più rigido rispetto dei protocolli.Il lavoro è incentrato principalmente sugli amici e sulla clientela affezionata. Un bel sostegno. Ma se guardo agli incassi … in un fine settimana“normale” si aggiravano sui 3mila euro, al momento se se ne realizzano 500 è già tanto.
Le sovvenzioni del decreto ristori servono giusto a coprire le spese e neanche tutte: i costi fissi sono ben superiori al contributo erogato. Il personale è in “mezza” cassa integrazione, si risparmia tenendo spento il riscaldamento e si fa la spesa giorno per giorno per evitare gli sprechi.
Che prospettive intravedi per la tua attività e, più in generale, per il settore ristorazione?
Stiamo letteralmente “stringendo i denti” in attesa di tempi migliori. Forse – ce lo auguriamo – le restrizioni si allenteranno per il Natale così da riprendere un po’ di fiato. Nella più rosea delle ipotesi, dopo le festività sarà un’alternanza di apri-chiudi “a singhiozzo” fino almeno alla tarda primavera.
Temo che molti capitoleranno e si inizierà a fare la conta dei sopravvissuti.
Noi stiamo facendo davvero il possibile, mettendoci passione ed inventiva, per reagire: ogni week end, per esempio, proponiamo, in aggiunta al menù classico, un’invitante sfiziosità.
La ricetta?
Idea, materie prime di qualità, preparazione accurata. Guancia al vermouth questa settimana; la scorsa è stata invece la volta della bagna càuda: un successo … bòja fàuss!