22 Novembre 2024
Carlotta Viara | “La necessità aguzza l’ingegno”, recita un antico adagio, cui il mondo dell’arte statunitense si sta ispirando per rimpinguare le casse dei musei, svuotate dalla pandemia.
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Carlotta Viara

“La necessità aguzza l’ingegno”, recita un antico adagio, cui il mondo dell’arte statunitense si sta ispirando per rimpinguare le casse dei musei, svuotate dalla pandemia.

L’approccio italiano (ed europeo) per ridare linfa vitale al settore artistico-museale è diverso.

Pragmatismo made in USA vs idealismo del Vecchio Continente: due “modelli” a confronto

In Europa, tra gli addetti ai lavori, ha suscitato non poco stupore la proposta di un esperto francese: mettere in vendita la Gioconda per almeno 50 miliardi di euro.

L’ardito suggerimento mira al nobile fine di utilizzare il ricavato per riossigenare l’ambiente culturale in senso lato, boccheggiante da postumi Covid19.

Accolta con reazioni contrastanti (tra lo sconcertato ed il divertito), l’idea è parsa niente più che una boutade impertinente.

L’impossibilità, per i musei, di alienare le proprie opere d’arte corrisponde infatti non solo ad un divieto giuridico (mitigato, nei Paesi nordeuropei, da un indirizzo più “tollerante”), ma è, per retaggio culturale (soprattutto al Sud), un convincimento profondamente radicato.

Una sorta di tabù che, al di là dell’oceano, alcuni artmuseums, in ginocchio per la recessione, stanno infrangendo, onde scongiurare la chiusura.

Non si tratta di episodi isolati

Ad autorizzare ufficialmente la vendita è intervenuta, in prima linea, l’associazione di categoria (AAMD), che, nel constatare il generale malessere da forte indebitamento (il NY Metropolitan Museum -per citarne uno- ipotizza rosso in bilancio per 150 milioni di dollari), ha dato il via libera (temporaneo: fino all’aprile 2022) al libero mercato dell’arte.

Con i proventi, si potranno cosi pagare i dipendenti, far fronte alle spese di funzionamento, manutenere gli edifici e porre in essere quant’altro si rendesse necessario per la sopravvivenza dell’istituzione.

È una “rivoluzione” che scompagina l’assetto pre-coronavirus: anche nel Nuovo Mondo, difatti, seppur con toni smorzati, la venalità veniva prima d’oggi stigmatizzata, con l’unica deroga ammessa del vendere arte per comprare … arte.

Tecnicamente si chiama decessioning ed è il brillante strumento di autofinanziamento, regolato da particolareggiate guidelines, che permette lo smembramento di collezionimusealipermanenti per ricavarne liquidità, spendibile unicamente per l’acquisto di altre opere d’arte.

theartrag.wordpress.com

Fenomeno che, in questi ultimi anni, ha interessato fior di musei (Moma e Guggenheim in primis), a testimonianza di una trasformazione culturale parzialmente già in atto.

A far mettere il piede sull’acceleratore ci ha pensato la crisi: gli americani, è noto, sono maestri di realismo, e, di fronte al sacrificio del patrimonio artistico per la salvaguardia del capitale economico…no way: “business is business”.

Anzi, si sono spinti oltre, consentendo che anche i fondi vincolati (derivanti da lasciti e donazioni private) possano essere temporaneamente impiegati per scopi non tradizionali. Al cospetto dell’operazione “Art on sale”, l’Europa guarda con perplessità.

Il caso italiano

In Italia, gli strumenti di contromisura previsti dal Decreto Rilancio sono altri e di ben altra natura; il “Pacchetto cultura” (scarica il documento) , del valore di un miliardo di euro, contempla fondi, contributi e agevolazioni fiscali, con uno stanziamento specifico di 100 milioni di euro (per l’anno 2020) a sostegno dei musei Mibact.

Uffizi di Firenze Fonte: Wikimedia

Il codice etico IcomItalia è eloquente al proposito: i musei sono definiti istituzioni senza scopo di lucro ed al servizio della società, il cui precipuo compito è “assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale dellumanità”; ragion per cui “le collezioni non possono essere considerate fonte di reddito. Le somme derivanti dalla alienazione devono essere usate esclusivamente a beneficio delle collezioni, di norma per l’incremento delle stesse” (punto 2.16 “Ricavi da alienazione”).

Ci si ferma, insomma, a rarissimi casi di simil-decessioning; il Codice dei beni culturali non lascia spazio a dubbi: le opere d’arte sono beni inalienabili di proprietà dello Stato.

Oltre non si va: “l’arte in cambio del pane” è una pratica giuridicamente vietata, concettualmente inconcepibile, eticamente e socialmente inaccettabile.

Il pensiero che un Botticelli, sottratto al comune patrimonio ed al pubblico godimento, possa finire nel salotto buono di qualche ricco privato è quanto di meno democratico si possa immaginare: la cultura accessibile a tutti rimane, anche in tempi di “carestia”, il nostro baluardo inespugnabile.

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