22 Novembre 2024
Maria Ausilia Di Falco | Suonare i brani di Bach è come montare le note, gli accordi, i ritmi pezzetto dopo pezzetto e il suono finale che ne viene fuori è una magia
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Maria Ausilia Di Falco

«Io suono le note come sono scritte ma è Dio che fa la musica». Lo diceva Bach, il Johannes Sebastian. Che di note ne ha suonate ma soprattutto scritte.

Cosa aveva nella testa nessuno lo sa, manco Dio. Perché per quanto lui sostenesse che è Dio a fare la musica, chi ascolta un brano di Bach sa che è impossibile separare le sue dita dalla musica e da Dio.

Bach è la Musica.

Musica gioiosa, musica composta, musica triste, musica estatica. Musica bambina, musica adulta, musica piena, musica vuota. Musica bianca, musica nera, musica che parla tutte le lingue del mondo. Musica per le terre e musica per i mari. Musica per il paradiso anche quando sei all’inferno.

Musica per organi caldi. Forse Bukowski lo sapeva quando intitolò così una sua raccolta di racconti.

Potremmo continuare la descrizione all’infinito, ma non c’è niente che descriva la musica di Bach meglio delle sue opere. Parlano loro, non c’è bisogno di parlarne.

Provare per credere: aprite YouTube, andate ad esempio qui:

Chiudete gli occhi, ascoltate e capirete.

Sono opere che ci ronzano in testa sotto forma di melodie eterne che continuiamo a canticchiare anche se non ne conosciamo il titolo.

Opere come la Toccata e fuga in re minore per organo, Aria sulla quarta corda, i Concerti brandeburghesi.

Se per varcare la soglia del Paradiso dobbiamo aprire una porta, ecco, i Concerti Brandeburghesi sono la Porta. Bach li scrisse in quella striscia di terra che in Germania rappresentava un’unica provincia culturale, la Sassonia. Fatta di fiumi blu, monti verdi, castelli, strade di vino e città di porcellana. Li compose in quella fetta di tempo dei primi anni del Settecento che hanno costruito la grande enciclopedia filosofica del sapere e della realtà, l’Illuminismo. E li compose proprio per quelle menti musicali illuminate, capaci di grinta e disciplina.

Fece così: mise in partitura tante linee melodiche (o armoniche) quanti erano i timbri degli strumenti che voleva. Ogni esecutore sceglieva la sua parte e suonava insieme agli altri musicisti. Chi il violone, il violino, il corno da caccia, il fagotto, la tromba, il clavicembalo concertante o basso continuo.

Quello che veniva fuori, dopo tante ore di studio, era un incastro perfetto: all’orecchio giungeva un suono orchestrale d’insieme ma era chiaro allo stesso tempo il carattere solistico di ogni strumento.

Suonare i brani di Bach è come montare le note, gli accordi, i ritmi pezzetto dopo pezzetto e il suono finale che ne viene fuori è una magia. Sia che ascoltiamo un Allegro, un Andante, un Trio, un Minuetto o un Affettuoso. Sì, esiste pure l’Affettuoso. Il Maestro oltre le note, usava bene anche le parole per descrivere i movimenti.

Questi concerti-miniature di perfezione si sono prestati a così tanti abbinamenti che rappresentano una sorta di campionario in cui ogni musicista si divertire a fare il virtuoso da solo e insieme al gruppo da camera. Ne nascono moderne trascrizioni per pianoforte, anche a otto mani, come questa del concerto brandeburghese n. 3, che abbiamo suonato io, Brenda, Miryam e Fabio, per accorciare le lunghe notti di quarantena.

Perché abbiamo scelto proprio il n.3?

Perché avevamo bisogno di accordare il nostro umore al Sol Maggiore e restituirlo agli ci ascoltatori. E qui, spiegare cosa significa questa frase è quasi più difficile di riuscire a suonare insieme, ad andare perfettamente a tempo e incastrarsi a chilometri e chilometri di distanza. Fossi nata in un’altra epoca, avrei chiesto spiegazione direttamente a Bach ma ahimè, l’unica soluzione a questo inconveniente è interrogarci tra noi e provare a restituire più interpretazioni possibili.

Per fortuna, io, Fabio, Miryam e Brenda, non ci siamo solo arrovellati per più di un decennio sui tasti dei pianoforti del Conservatorio Scarlatti. Tra una nota e l’altra ci siamo sempre interrogati sperimentando teoria e pratica, studiando sulle pagine dei manuali di Bach prima ancora che sugli spartiti. E non ci bastavano dodici ore chiusi in un’aula. La nostra voglia di suonare, sperimentare, interrogarci a vicenda era ed è inesauribile.

Certo, mai avremmo pensato di doverci attrezzare per suonare anche dietro a uno schermo, sincronizzarci e unire le note da Torino fino a Palermo. Ma se c’è una cosa che sanno fare bene i musici è trasformare la necessità in virtù. È molto raro avere a disposizione quattro pianoforti su un palco per un concerto. Forse, il nostro periodo di isolamento forzato e le nuove tecnologie potevano darci questa occasione.

E tac, così è nata questa registrazione.

Ma torniamo al Sol maggiore.

Cosa significa per loro il Sol Maggiore?

Fabio: “il Sol Maggiore lo percepisco come una tonalità luminosa, energica, che da ottimismo e forza; non eccessivamente vivace ma decisa e propositiva.”

Miryam: “volendo associare un colore alle varie tonalità, mentre per me il Do maggiore è rosso e il Fa è verde, il Sol Maggiore è decisamente giallo: una tonalità e un colore luminoso, raggiante, pieno di vita.”

Brenda: “il Sol Maggiore mi ispira positività, luce e serenità.”

Anche per il me il sol maggiore è giallo. E quando lo vedo sui tasti, quando salto coi polsi sui ritmi gialli di Bach mi carico di una elettricità che mi ravviva l’animo e sento che pure il sangue si colora di giallo. E se questo colore accende il cuore di tutti, di chi suona e chi ascolta, se tutti proviamo la stessa emozione di positività è una gioia indescrivibile.

Anche in un periodo come questo, diventiamo un unico abbraccio virtuale, un sorriso appeso alle vie della città.

Ecco, Bach cambia l’umore delle persone in maniera universale. Dunque, abbiamo scelto Bach perché è universale e il concerto Brandeburghese n.3 in Sol Maggiore per restituire in questo momento buio, un messaggio universale di positività.

Vero Fabio? Si, penso che uno dei meriti di Bach è l’aver saputo trasfigurare in musica la Ragione e il Sentimento umano, nella loro forma più limpida e sintetica. È questo il suo grande potere: trasmettere a tutti (in questo caso) ottimismo ed energia.

Vero Brenda? Immagino la polifonia di Bach come l’interazione fra individui in una società ideale. Un messaggio di profonda speranza e di cui tutti abbiamo bisogno.

Vero Miryam? Sì, Bach è universale ed è naturale. Da un sapore particolare ai suoni, rende naturale il processo di condividere il proprio suono con gli altri. Regala luce.

Cosa porta quattro persone a suonare insieme? È solo un’intesa a livello di relazione umana o c’è qualcosa a livello puramente musicale che vi unisce?

Fabio: “una buona dose di pazzia. Ci piace vincere la sfida di riuscire a trovare la quadra negli incastri complicati. Ci piace approcciarci alla musica con divertimento. Il nostro suonare insieme è quasi un gioco (seppur fatto di studio e di ricerca) con i nostri pianoforti e tra noi che cerchiamo di spostare un po’ il manto di sacralità che spesso ricopre questo strumento e che lo allontana, a volte, dagli ascoltatori. L’entusiasmo è tale che, dato che io sono anche un compositore, sto già scrivendo un brano originale per queste stesse otto mani.”

Miryam: “tutti e quattro adoriamo Bach, siamo colleghi ma siamo anche amici e unire la musica all’amicizia è un’esperienza rara. Questo ci mette in sintonia, ci fa sentire parte di un’unica grande famiglia orchestrale e non capita tutti i giorni. Un pianista è abituato a suonare da solista, condividere il proprio suono con altri tre pianoforti è meraviglioso.”

Cosa significa però condividere 88 tasti a distanza?

Brenda: “significa predisporsi a una costante crescita artistica e soprattutto ad una continua condivisione di emozioni. A distanza vengono meno il contatto diretto, i respiri, le intese spontanee e quell’atmosfera magica insostituibile. Abbiamo sperimentato una sinergia diversa che ci ha ugualmente emozionato: è incredibile come la Musica possa valicare qualsiasi ostacolo e unire gli animi. Nonostante la distanza.” 

Da quattro parti diverse della Sicilia: Canicattì, Castelvetrano, Caccamo, San Cataldo, le nostre vite si sono incrociate a Palermo.

Per condividere il nostro percorso pianistico ma per unire anche le nostre attitudini diverse: Fabio e il suo amore per la musica barocca. Brenda e la sua passione per la musica per danza. Fabio e Brenda e i loro concerti per percussioni e aeroplani. Miryam e il suo slancio per la Musica da Camera. Io e le mie ricerche di musicoterapia. Io e Miryam e l’insegnamento instancabile a scuola.

Fabio, Brenda, Miryam, io e Bach, sempre. E una vita migliore grazie a lui, grazie alla musica.

La vita con Bach è migliore, fidatevi di noi. Sia che voi la studiate, la suoniate o la ascoltate semplicemente.

Se l’hastag di questo periodo è #restateacasa noi vi lanciamo il nostro #restateacasaconBach.

Buon ascolto.

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