Alice Bertolini | Ogni giorno apriamo il rubinetto e usiamo, secondo l’ISTAT, 77 metri cubi di acqua, ma quali rischi possiamo correre? Il Centro Ricerche SMAT prova a rispondere a questa domanda con uno studio dei campioni di acqua dalla rete idrica torinese.
Il progetto è stato presentato durante il Festival del Giornalismo Alimentare, tenutosi presso il Centro Congressi di Torino dal 21 al 23 febbraio 2019. Durante la presentazione sono intervenuti Lorenza Meucci, Responsabile del Centro Ricerche SMAT, Giorgio Gilli dell’Università degli Studi di Torino, Sherri Mason del Penn State Behrend e Gabriele Beccaria, direttore di Tutto Scienze e Tutto Salute.
Obiettivo della SMAT è indagare sulla possibile presenza di microplastiche nella rete idrica. Con microplastiche intendiamo quelle particelle di plastica di diametro inferiore ai 5 mm prodotte prevalentemente dalla degradazione dei rifiuti in plastica e dai processi industriali. Tra le sostanze chimiche inquinanti che possiamo trovare nelle microplastiche vi sono il bisfenolo, gli ftalati, i nonilfenoli, i policrorobifenili (Greenpeace).
Il massiccio inquinamento da plastica a cui stiamo assistendo negli ultimi anni si sta rivelando nocivo non solo per le specie marine, ma per la stessa catena alimentare di cui noi consumatori facciamo parte.
Secondo uno studio di Science Advances, dal 1950 la produzione annuale di plastica è cresciuta dai 2 milioni di tonnellate ai 380 milioni. Al giorno d’oggi, il numero di rifiuti plastici corrisponde a 6300 milioni di tonnellate. Da qui al 2050, si stima un aumento fino a 25000 milioni di tonnellate di rifiuti plastici (Per saperne di più leggi Un mare di Plastica).
Recenti studi hanno individuato la presenza di microplastiche negli alimenti che assumiamo. Tra i più noti, troviamo quello svolto dall’EFSA (European Food Safety Authority), che ha eseguito analisi scientifiche sui contaminanti nella catena alimentare. Secondo questo studio, come ha dichiarato uno dei ricercatori, Peter Hollman, una semplice porzione di cozze (225g) potrebbe contenere 7mg di microplastica.
Le microplastiche non sembrano essere presenti solo nell’ambiente e nella fauna marini. Anzi, il progetto della SMAT vuole proprio indagare su una possibile presenza di queste componenti nocive nell’acqua potabile.
Ma non si tratta del primo studio. La Orb Media nel 2017 ha stimato la presenza di microplastiche nei rubinetti di tutto il mondo, con particolare concentrazione negli Stati Uniti. A condurre queste analisi è stata la stessa Sherri Mason, professoressa di chimica alla Penn State University, che ha partecipato alla presentazione del progetto SMAT di Torino al Festival del Giornalismo Alimentare.
Se l’acqua di rubinetto risulta inquinata, quella in bottiglia non si presenta come una valida alternativa. Anzi, la stessa organizzazione Orb Media ha preso sotto esame bottiglie dei più noti marchi di nove paesi diversi, scoprendo la presenza, nel 93% di esse, di microplastiche.
Questo perché la bottiglia di plastica rilascia una parte del proprio costituente all’acqua che contiene: bere un litro d’acqua al giorno non risulta meno pericoloso di cibarsi di molluschi o specie marine che hanno ingerito microplastiche.
L’inquinamento da plastica non riguarda solo mari e oceani, ma è arrivato ormai sulle tavole di noi consumatori, anche se in maniera non altrettanto visibile. Prenderne atto è il primo passo per comprendere verso quale direzione sta andando il nostro stile di vita a livello globale.