Marco Camaiti | Viviamo in un’epoca di grandi sconvolgimenti climatici e biologici. Dall’inizio della Rivoluzione industriale ad oggi, principalmente a causa dell’attività antropica, la quantità di CO2 atmosferica è aumentata da 280 parti per milione a più di 410, avviando meccanismi irreversibili di riscaldamento del pianeta.
La CO2, come altri gas serra, rende l’atmosfera meno trasparente e quindi fa sì che più calore solare sia trattenuto dal pianeta. Con l’aumentare della sua concentrazione atmosferica, una maggior quantità di essa si solubilizza nei mari, acidificandoli e scaldandoli, causando una fusione del ghiaccio marino e delle calotte glaciali. Le specie animali e vegetali, non abituate alle nuove condizioni di temperatura e umidità che si vanno a formare, salgono in altitudine o si spostano verso i poli. Chi non riesce a migrare ha due scelte: adattarsi o soccombere all’estinzione.
La storia della Terra ha visto il susseguirsi di migliaia di cambiamenti climatici a scala globale. Nei più di 4 miliardi di anni della sua esistenza, il pianeta ha subìto variazioni nella sua temperatura media dell’ordine dei 30° C, dai minimi della “Terra palla di neve” di 650 milioni di anni fa, ai massimi del “PETM” (Palecene-Eocene Thermal Maximum) 55 milioni di anni fa. Ogni volta che si sono verificati, i cambiamenti nel clima hanno causato modificazioni irreversibili degli equilibri biologici, non senza portarsi dietro migliaia di specie. Le “Big five” le cinque grandi estinzioni di massa, come anche gli eventi di estinzione minori, hanno riscritto la storia della vita eliminando interi lignaggi e permettendo a nuovi gruppi con nuovi adattamenti di prendere piede.
Il collegamento tra la vita e il clima funziona anche nella direzione opposta, spesso e volentieri oscurando in importanza eventi estremi (per esempio, l’attivazione della provincia vulcanica dei Trappi Siberiani che precipitò l’estinzione di fine Permiano). Se la Terra non avesse permesso agli esseri viventi di svilupparsi, adesso ci troveremmo davanti un panorama non troppo differente da quello di Marte: l’influenza della vita ha radicalmente cambiato l’atmosfera e la geologia del pianeta attraverso le epoche, liberando o fissando il gas serra CO2 che a sua volta portava a modificazioni del clima. Per esempio è ormai accettata la teoria che i più importanti eventi glaciali, come la “Terra palla di neve” e la grande Glaciazione Devoniana siano stati almeno parzialmente innescati dal massivo sequestro di CO2 a opera degli organismi fotosintetici.
Il problema quindi non sono i cambiamenti climatici di per sé. Ad essere fonte di preoccupazioni è la velocità e l’intensità con cui questi cambiamenti stanno avvenendo: il brevissimo periodo di tempo in cui gli esseri umani hanno rilasciato tonnellate e tonnellate di gas serra nell’atmosfera è difficilmente comparabile a milioni di anni di lento e naturale rilascio degli stessi gas. La combustione di idrocarburi e carbone per produrre energia elettrica e meccanica è essenzialmente la rottura di legami chimici formatisi milioni di anni fa a partire da organismi viventi. Quando questa energia viene liberata, il carbonio che era stato sequestrato nel corso di tempi lunghissimi finisce nell’atmosfera, andando a sommarsi a quello naturalmente presente e alterando gli equilibri biogeochimici terrestri. In pratica, bruciando il carbone, non stiamo facendo altro che utilizzare energia solare fossile accumulata da piante vissute milioni di anni fa.
Da una parte, la capacità di sfruttare queste fonti energetiche che quasi nessun altro organismo vivente è in grado di utilizzare testimonia la straordinaria inventività e intraprendenza della nostra specie. Dall’altra, evidenzia l’enorme responsabilità che dovremmo avere nei confronti del nostro pianeta. Se però lo studio del tempo profondo—ovvero i lunghissimi tempi della geologia e dell’evoluzione biologica—può darci una lezione, è quella che ogni cambiamento, che sia del clima o della biosfera, non è che una parentesi destinata ad esaurirsi e a perdersi nel rumore di fondo delle ere geologiche.
D’altronde, modificando gli ambienti terrestri in maniera irreversibile, e spingendo innumerevoli specie viventi a una sesta estinzione di massa, qualche differenza nella storia del pianeta l’abbiamo già fatta. Nel bene e nel male, alcune delle nostre azioni avranno effetti a lungo termine anche dopo la nostra scomparsa, come le increspature prodotte da un sasso lanciato in acqua.
A scanso di miracoli di ingegneria genetica, nessun discendente del dodo o del tilacino potrà mai esistere, perché con essi se ne è andata per sempre la loro possibilità di portare avanti la propria linea evolutiva. Gli oggetti di platino, oro e palladio che abbiamo prodotto rimarranno pressoché intatti per milioni di anni, e la crosta terrestre porterà il segno dell’uomo—sotto forma di strati geologici ricchi di asfalto, metalli pesanti e plastiche—per tempi altrettanto lunghi. La verità è che, nei soli 200.000 anni dalla nascita della nostra specie, corrispondenti a un misero 0.004% della storia della Terra, abbiamo fatto più di quanto qualsiasi altro organismo sia mai riuscito a compiere, tanto da meritarci il nostro proprio periodo geologico, l’Antropocene.
Alla luce di quanto detto, non possiamo prevedere cosa sarà di Homo sapiens, questa strana scimmia nuda così piena di inventiva eppure così distruttiva. Saremo abbattuti dal cambiamento climatico che noi stessi abbiamo indotto, oppure riusciremo a sopravvivere a questa crisi e, chissà, spargerci su altri pianeti?