JB | Il 27 marzo del 1968, alle 10 e 18 del mattino, Juri Gagarin decollava dall’aeroporto Chkalovsky di Mosca per un normale volo di addestramento a bordo di un Mig 15. Sarebbe stato il suo ultimo volo. «Yuri ed io avevamo consultato gli stessi medici e ascoltato le medesime previsioni del tempo prima di salire a bordo dei nostri rispettivi aeroplani» ricorda oggi Vladimir Aksyonov, ex cosmonauta che avrebbe dovuto decollare anche lui un’ora dopo dalla stessa pista. Ma il volo di Aksyonov venne cancellato. Il Mig con a bordo Gagarin, invece, decollò come da programma. «Alle 10,30, mentre facevo ritorno alla base, Gagarin e il suo co-pilota Seryogin non rispondevano più alle chiamate radio» racconta ancora Aksyonov all’agenzia di stampa AFP.
I rottami del Mig di Gagarin vennero rinvenuti dall’equipaggio di un elicottero dell’aeronautica alle tre del pomeriggio, nelle campagne di Kirzac a 21 km da Mosca. Il corpo del cosmonauta fu trovato solo il giorno dopo. Moriva così, ad appena 34 anni, l’uomo che per primo volò nello spazio e che il 12 aprile del 1961 aveva aperto le porte a una nuova frontiera delle esplorazioni. Cinquantanni dopo la sua morte le cause di quell’incidente non sono ancora state chiarite del tutto, anche per il segreto di stato che venne imposto alle indagini e alle ricostruzioni.
I documenti ormai declassificati parlano di un “banale” incidente, dovuto a una «brusca manovra per evitare un pallone aerostatico» o alle «turbolenze generate dalla scia di un aereo più grande», forse addirittura di tre Sukhoi 15 in formazione. C’è anche chi ha ipotizzato un vero e proprio sabotaggio del Mig, ordinato addirittura dal Cremlino perché la troppa popolarità di Gagarin rischiava di mettere in secondo piano i leader politici dell’URSS, Leonid Brezhnev compreso.
Ultimamente, poi, è emersa un’altra teoria, ripresa dal Daily Telegraph: il colonnello Gagarin sarebbe precipitato per un attacco di panico. Il quotidiano britannico riporta la testimonianza di un ex colonnello dell’aviazione, Igor Kuznetsov, che aveva preso parte alle prime indagini.
Secondo Kuznetsov, il Mig di Gagarin volava a 3.000 metri di altezza quando il cosmonauta si accorse di un’anomalia in cabina, una presa d’aria rimasta aperta che impediva la corretta pressurizzazione dell’abitacolo. A questo punto, forse in preda al panico, Gagarin avrebbe tentato un discesa in picchiata, per tornare ad un’altezza di sicurezza. Ma proprio la velocità di discesa (145 metri al secondo) avrebbe fatto perdere conoscenza a lui e al suo copilota, causando lo schianto a terra dell’aeroplano.
Cinquantanni dopo la sua morte restano nella memoria di tutti quei 108 minuti di un volo che ha cambiato la storia dell’umanità e dei rapporti (di forza e politici) tra Urss e Stati Uniti. Resta, soprattutto, quel «da quassù la Terra è bellissima», pronunciato dal primo uomo ad aver avuto il privilegio di vedere il nostro pianeta da una prospettiva unica e fino ad allora inimmaginabile. E resta quel cratere della Luna a lui intitolato, dove Gagarin sognava di poter metter piede.