23 Novembre 2024
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Gilberto Germani | Presidente ENPA Saronno | Nel corso degli anni il consumo di carne è aumentato considerevolmente, cosicché gli allevatori, per far fronte alla crescente richieste, limitando i costi e salvaguardando esclusivamente i propri interessi, hanno semplicemente aumentato il numero di animali nei medesimi spazi a disposizione: sono nati così gli allevamenti intensivi.

Lasciando pure agli esperti nutrizionisti il compito di valutare quale sia per l’uomo l’alimentazione più salutare tra l’onnivora, la vegetariana o la vegana, rimane che se gli animali, terrestri o acquatici che siano, devono essere allevati per scopi alimentari, occorre garantire loro condizioni di vita dignitosa. E ciò non avviene.

La mucca allevata per la produzione del latte viene inseminata artificialmente ogni anno e il vitello che partorisce è allontanato da lei immediatamente. Essa viene poi munta meccanicamente per mesi, durante i quali è costretta a produrre una quantità di latte superiore a quella che le sarebbe servita per nutrire il vitello. Per aumentare ulteriormente la produzione di latte, è alimentata con proteine altamente concentrate. All’età di cinque o sei anni, dopo atroci sofferenze, è infine macellata. La sua vita in libertà sarebbe stata di circa 20 anni e la sua alimentazione erba da pascolo; in allevamento intensivo si è nutrita invece d’erbaggi, letame, farina animale e rifiuti o scarti di vario genere. Le conseguenze di questi esagerato sfruttamento sono un comportamento nervoso, causato dalla forzata immobilità, infezioni alle mammelle e lacerazioni alla pelle, prodotte dalle eccessiva mungitura.

Il vitello, allontanato dalla madre appena nato, e perciò già traumatizzato, è rinchiuso in uno stretto box che gli impedisce ogni movimento o posizione di riposo ed è alimentato artificialmente con una dieta studiata al fine di renderlo anemico e mantenere così tenera e bianca la sua carne. L’animale è nervoso per la mancanza di spazio e, a causa dell’innaturale alimentazione, inghiottisce il suo pelo e lecca le sbarre della sua prigione per cercare ferro. Entro un massimo di 16 settimane la sua vita finisce al macello.

Le galline, per la produzione delle uovo, sono costrette a vivere stipate in gabbie anguste e sovraffollate. Le loro ali si atrofizzano a causa dell’immobilità forzata e le zampe, a contatto con la griglia di ferro(usata come fondo per facilitare le pulizie) crescono deformi. Onde evitare che si feriscano tra di loro, vengono recisi i becchi, procedura che comporta anche i, tagli di tessuti teneri e che spesso, lasciando esposte terminazioni nervose, provocano dolori per tutta la vita che in ogni modo si conclude entro due anni con la sgozzatura.

I polli  invece, vivono in capannoni affollatissimi, con ritmi giorno/notte alterati e scanditi da illuminazioni artificiali, sono alimentati con antibiotici, ormoni e cibi grassi e sono uccisi dopo circa sei settimane.

Le oche allevate per la produzione di patè hanno un destino forse ancora più tremendo, poichè sono costrette ad una alimentazione forzata, praticata tramite l’inserimento di un grosso tubo che dalla bocca raggiunge lo stomaco. In questo modo il loro fegato s’ingrossa a dismisura (ammalandosi) e con esso si produce il rinomato, ”patè de foie gras”.

Non hanno sorte migliore gli ovini, equini, suini e gli altri animali allevati per l’alimentazione umana.

Per finire, pesci, crostacei e molluschi, che ugualmente a ogni altro essere vivente provano dolore, sono invece tenuti ancor meno in considerazione. Un terzo dei pesci pescato in tutto il mondo viene ributtato in mare perché “di scarto”, ma è comunque già morto.

Il sempre più diffuso sistema alternativo alla pesca è l’acquicoltura, ovvero l’allevamento intensivo degli animali acquatici. Qui essi vivono in vasche ristrette, soffrendo di stress per mancanza di spazio e del loro ambiente naturale. La loro fine è morire soffocati dopo lunghe agonie (pesci), bolliti vivi (aragoste), spellativi vivi (anguille), o mangiati vivi (ostriche).

Tutte queste sofferenze esistono affinché l’uomo si posa alimentare, in maniera tra l’altro eccessiva, di carni, uova e latticini.

Le vittime come sempre sono gli animali: macellati dopo aver vissuto soffrendo, incatenati, rinchiusi, privati di libertà e movimento, d’istinti affettivi e sessuali, mutilati con metodi crudeli, sottoposti a terapie antibiotiche e ormonali, nutriti con alimenti inadeguati, chimici e innaturali e costretti a respirare un’aria satura d’anidride carbonica, idrogeno solforato, vapori ammoniacali e polvere. L’ultima vittima, assolutamente incosciente, è l’uomo che di tutto ciò si nutre.

Le leggi che regolamentano gli allevamenti intensivi sono molto variegate a seconda della tipologia degli animali che può essere così suddivisa:

Allevamenti La normativa per la protezione degli animali negli allevamenti e sulla protezione degli animali “da macello” è ricca di interventi, sia a livello nazionale che a livello comunitario. Tra le norme generali, vi è il Regolamento di polizia veterinaria in vigore con Decreto del presidente della repubblica 08 febbraio 1954, n.320 (G.U. Serie Pregressa, n.142 del 24 giugno 1954).

Galline ovaiole Dal 1 gennaio 2012 sono vietati su tutto il territorio comunitario gli allevamenti di galline ovaiole nelle vecchie gabbie di batteria: le galline devono essere tenute all’aperto, a terra o in “gabbie modificate”, con almeno 750 cm² di superficie a disposizione di ciascuna gallina, un nido, lettiera, posatoi e dispositivi per accorciare le unghie, in modo da soddisfare i loro bisogni biologici e comportamentali. Si tratta di un risultato faticosamente ottenuto dopo anni di battaglie e osteggiato da molti allevatori, attuato in base al combinato disposto della normativa comunitaria (art. 5 Direttiva del Consiglio n.74 del 19 luglio 1999) e nazionale (Decreto Legislativo  29 luglio 2003 n.267).

Polli Sottoposti a sistemi d’allevamento tra i più intensivi, in Italia i polli sono regolamentati dal Decreto Legislativo 27 settembre 2010, n.181, in attuazione della Direttiva 2007/43/CE che stabilisce norme minime per la protezione di polli allevati per la produzione di carne e il relativo Decreto del Ministero della Salute “Disposizioni attuative in materia di protezione di polli allevati per la produzione di carne, ai sensi degli articoli 3, 4, 6 e 8 del decreto legislativo 27 settembre 2010, n. 181” e , da pagina 16, la Gazzetta ufficiale GU n.86 del 12-4-2013. Si tratta di norme minime necessarie, ma che non garantiscono un approccio completo ai gravi problemi (elevata densità d’allevamento, selezione genetica, ecc.) di salute e alle sofferenze di miliardi di polli.

Suini La legislazione in vigore detta tenui norme minime per i suini e per le scrofe in particolare.

Vitelli Dal 2005 la normativa che disciplina l’allevamento di vitelli prevede, grazie anche alle campagne svolte dalla LAV, uno spazio maggiore – ma pur sempre limitato – per farli sdraiare e un’alimentazione integrata con sostanze fibrose. Un debole miglioramento per uno dei sistemi più intensivi di allevamento.

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