Allevamenti intensivi a scopi alimentari
Gilberto Germani | Presidente Enpa Saronno | Mentre i nostri nonni consumavano mediamente 14 kg di carne a testa ogni anno, oggi se ne consumano all’incirca 82 kg. Tralasciando il discorso sulla salute (effetti degli ormoni, degli antibiotici e dei sulfamidici di cui molti animali sono imbottiti, accumulo nelle carni ingerite degli antiparassitari e pesticidi contenuti nei mangimi, effetto “mucca pazza” inteso come imposizione umana al cannibalismo dell’animale), vediamo come vengono allevati e poi uccisi ogni anno in Italia, nei 3.203 mattatoi 640 milioni di animali fra cui 10 milioni di bovini, 12 milioni di suini, 9 milioni tra ovini e caprini, 257.000 equini, 600 milioni di conigli, polli e altri volatili e più di un miliardo di pesci.
Gli allevamenti rappresentano sicuramente la più grossa mostruosità dei nostri tempi, sia per la loro costituzione che per le prassi operative attuate. Negli allevamenti intensivi gli animali non possono muoversi, sdraiarsi, non vedono mai l’erba, sono alimentati con mangimi inadatti alla loro natura, non vedono mai la luce del sole, vivono nei loro escrementi. Il 18% delle emissioni di metano nell’atmosfera derivano dagli animali da allevamento. Agli allevamenti e ai fertilizzanti di sintesi si può imputare l’80-90% delle emissioni di ammoniaca nei Paesi industrializzati. A livello mondiale le deiezioni animali sono la fonte principale d’ammoniaca che contribuisce alle piogge acide.
Ogni operazione viene puntualmente eseguita senza anestesia e con strumenti che non è azzardato definire di tortura. Ad osservare attentamente questi ferri tornano alla mente gli attrezzi usati nel Medioevo.
Fili di ferro seghettati per tagliare le corna ai bovini, torcinaso e macchina per il debeccaggio, rostri di ferro con anelli da mettere nel naso, tenaglie per bucare le orecchie, coltelli per l’ovariectomia, fili di ferro con corrente per evitare il salto dei vitelloni, macchinette che emettono scosse elettriche per far procedere gli animali. Si potrebbe continuare per un pezzo in questa bottega degli orrori dove la funzionalità sfocia nel vero e proprio sadismo. Non c’è animale in un allevamento intensivo che non soffra terribilmente prima di essere portato al macello.
La gallina, costretta a vivere in una gabbia di batteria, che ospita sino a 5 soggetti, con il pavimento di filo di ferro che le rovina le zampe, con le ali tagliate per guadagnare spazio e con il becco smussato per evitare zuffe, ha come unica possibilità di movimento quella di beccare il mangime.
Il vitello, trascinato via dalla madre ed in preda all’angoscia mediamente dopo 15-20 giorni dalla nascita, messo in un box dove non ha neppure lo spazio per voltarsi o per sdraiarsi con le zampe stese, con un pavimento senza paglia né altro stame, alimentato con una dieta liquida e priva di ferro che lo “anemizza” per produrre la carne di vitello “bianca”, risulta così indebolito che quando viene tolto dal box per essere trasportato al macello non riesce a reggersi in piedi. Il vitello vive in queste condizioni per 13-15 settimane prima di essere macellato. I fratelli maggiori non hanno certo una vita migliore, costretti per tutta la loro vita ad un’immobilità presso che totale, spesso dolorosamente decornati e castrati senza anestesia, stipati per giorni e giorni su camion o carri ferroviari per terminare la loro assurda esistenza nei macelli.
La scrofa trascorre tutta la sua vita adulta come una macchina riproduttiva, da una inseminazione (spesso artificiale) a una gravidanza passata interamente in un box dove non può muoversi neanche per voltarsi, a un parto durante il quale viene immobilizzata perché non schiacci la nidiata muovendosi, finché, dopo un fugace contatto, l’unico che le è concesso con gli altri membri della sua specie, con i suoi piccoli, essi non le vengono tolti molto prematuramente, per farle poi ricominciare il ciclo. Il primo capitolo dell’odissea finisce qui ed inizia il secondo già descritto nel capitolo dedicato al trasporto degli animali. Il terzo ed ultimo capitolo è il macello.
Gli animali che arrivano al macello si presentano in condizioni pietose ma non sempre le lesioni sono dovute al viaggio. I bovini, ad esempio, vengono abbondantemente bastonati su tutto il corpo prima di essere caricati sugli automezzi per impiegare meno tempo nelle operazioni di carico; stesso trattamento ai suini; le galline vengono afferrate letteralmente come fossero cespi di insalata e gettate nelle ceste per essere avviate sui nastri trasportatori. Gli animali attendono il loro turno, con le orecchie che vibrano nell’udire le grida di chi li precede e le narici che fremono all’odore della morte.
Un terrore che giunge al suo massimo mentre vengono brutalmente sospinti nel “tunnel della morte” mediante scariche elettriche. Il tanfo degli escrementi e del sangue penetra nel cervello degli animali portando al parossismo l’istinto di sopravvivenza e fuga. Mi sorge spontanea una domanda: «Ma la scienza non ha sempre predicato che l’adrenalina -ormone prodotto dalla ghiandola surrenale- negli stati psicologici di allarme o di tensione causati dall’insorgere di pericoli si riversa nel flusso ematico dal quale viene trasportata in altre parti del corpo dove esplica la sua funzione di contrarre i vasi sanguigni periferici causando un aumento della pressione sanguigna e alterando di conseguenza la forza e la tensione muscolare e quindi la bontà e tenerezza della carne?»
Esiste l’obbligo di stordire gli animali prima di ucciderli, ma non riguarda tutti gli animali (sono esclusi i conigli e tutti i pennuti) e sono previste deroghe per la macellazione d’urgenza, per quella privata e per quella secondo i riti delle religioni ebraica ed islamica: l’animale viene sgozzato e muore per dissanguamento.
Ovidio nei versi 120-145 del XV libro delle Metamorfosi fa pronunciare a Pitagora un discorso con il quale egli esorta a non uccidere il bue da lavoro:
«In origine, afferma Ovidio (Platone) gli uomini si nutrivano di cereali, dei frutti della terra; poi furono costretti a difendersi dalle belve selvagge uccidendole, ma non ne mangiavano i corpi. Poi vennero disordini e furono uccisi gli animali domestici, e tra questi, la pecora che ti veste ed il bue che tira l’aratro, il compagno di lavoro dell’uomo. Bisogna porre fine a questo progresso della barbarie».
Nei versi 139-142 dello stesso libro il poeta scrive:
«Non fate questo, vi prego, “ascoltate i miei avvertimenti, “e quando offrirete al palato le membra dei buoi macellati, “sappiate e sia chiaro alla vostra coscienza, “che state mangiando i vostri lavoratori».
Ultima considerazione, rigorosamente personale: «perché tanta indifferenza? perché tanta sofferenza? perché tanto accanimento? Ma la sbandierata coscienza dell’uomo, unico essere pensante sulla terra, può degenerare sino a questo punto?» / Fine prima parte