22 Novembre 2024
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Gilberto Germani | Presidente ENPA Saronno | Con la pesca si consuma giornalmente una ecatombe di animali marini di proporzioni apocalittiche: 10 miliardi di pesci ogni anno solo in Italia. Reti, nasse, esplosivi, spadare, correnti elettriche, fiocine, ami portano il terrore e la morte nei mari, fino allo sterminio indiscriminato delle sue creature. Tutto senza che mai l’essere umano venga colto da vergogna, pietà, considerazione e rispetto del dolore e della vita di tante creature innocenti che chiedono solo di vivere nel loro ambiente naturale.

Ma oltre alla pesca (vera e propria guerra combattuta in modo impari contro animali inermi), vi è un’altra realtà tanto disumana quanto dimenticata, anche dalle associazioni animaliste: la pesca sportiva. La più ingiusta, stupida e palese manifestazione di violenza verso creature intelligenti e sensibili al dolore allo stesso modo degli animali terricoli. A tal proposito si citano gli studi di Hinde, Thorpe, Stout e soprattutto di Tavolga che fin dal 1965 aprì nuovi orizzonti nella biologia dei pesci e la loro intensa vita di relazione.

La pesca sportiva non è meno crudele del tiro al piccione, della corrida o meno detestabile della mattazione: è la vile, impietosa uccisione di un animale, non per necessità di sopravvivenza ma per mero egoistico e sadico divertimento, oltre che essere eticamente degradante per esseri che si considerano civili. Una morte che per drammaticità e tempi di agonia supera di gran lunga quella degli animali uccisi dai macellai, nei mattatoi o dai cacciatori nei  boschi.

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Come gli animali destinati alla macellazione per l’ingordigia umana che in qualche modo (spesso solo in teoria e per legge) non possono essere uccisi al di fuori dei mattatoi e da personale adatto, in modo da garantire loro almeno una morte meno drammatica, allo stesso modo gli animali marini non possono essere alla mercè di gente che per mero sollazzo li cattura con l’amo. Se è moralmente condannabile e legalmente perseguibile chi uccide un cane, un gatto o qualunque altro animale, perché viola la legge che tutela gli animali terricoli, deve essere ugualmente perseguito chi uccide un pesce, un crostaceo, un mollusco, un anfibio, un’ostrica, una stella di mare… Uccidere una trota, una seppia o una spigola non è meno ingiusto e crudele dell’uccidere un agnello. Se a nessuno è concesso uccidere pubblicamente (e non solo) un piccione, una rana o un riccio, allo stesso modo deve essere sanzionato chi uccide un pesce.

Chiunque di noi assistesse allo scempio di un qualunque animale (un gabbiano, un coniglio…)  ai bordi delle scogliere o in riva al mare, certamente chiederebbe l’intervento dei tutori dell’ordine o alle stesse associazioni protezionistiche per la giusta sanzione dei  responsabili di un atto crudele;  ma se la stessa violenza si verifica a danno di un animale marino rientra nella norma con il plauso dei presenti.

Un animale non ha più o meno diritto ad essere rispettato a seconda della sua specie di appartenenza o a seconda della sua dimensione fisica: l’animale ha per legge naturale diritto al rispetto, alla libertà e alla vita solo perché appartiene alla famiglia dei viventi e come tale capace di percepire il dolore, di avere sentimenti, di nutrire paura della morte: questa caratteristica non è prerogativa degli esseri umani, dei primati, dei mammiferi, dei vertebrati, ma di tutti gli esseri di cui è composto il sistema eco-biologico. Follia è trattare in modo differente casi analoghi. Non può essere condannato penalmente chi tortura e uccide un uomo o un cane ed essere esente da conseguenze penali chi, in modo anche più crudele, uccide un pesce, un delfino, un polpo, un’aragosta: soffrono se vengono torturati o uccisi? Questo è ciò che conta, cioè che è sufficiente ad inchiodare l’essere umano davanti alla sua responsabilità, davanti alla sua coscienza, davanti alla Vita.

E’ tempo di superare la inesistente classifica di animali di serie A e di serie B e lottare affinché tutti gli animali non siano più considerati frutti di mare, a peso, o a capi di bestiame, senza identità. Non è tollerabile che aragoste e lumache vengano bollite vive, che i polpi catturati dai pescatori della domenica vengano sbattuti sugli scogli per ammorbidirne le carni. Il problema deve essere evidenziato nella sua drammatica disparità di trattamento da tutte le associazioni che lottano in difesa degli animali.

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Non è più tollerabile la pesca sportiva come divertimento o passatempo per gente superficiale e crudele; tanto meno  la pesca di chi si arma con fiocina e bombole d’ossigeno a caccia di esseri senza possibilità di scampo, se non nella fuga: è come se un soldato andasse a caccia di bambini armato di bazuca.  Non è ammissibile che bambini e ragazzi vengono iniziati alla violenza e all’insensibilità verso il dolore di un essere senziente: la pesca sportiva più di ogni altra manifestazione di violenza abitua l’essere umano all’idea della supremazia del più forte sul più debole, a considerare sacrificabile la vita degli altri viventi per il piacere dell’uomo: questo induce inevitabilmente al disprezzo della vita e all’indifferenza verso la condizione dei propri simili.

Sta a noi farsi interpreti (ad ogni livello, con pazienza e determinazione) di quest’opera di informazione e sensibilizzazione evidenziando il dramma negato quanto inascoltato di miliardi di creature innocenti in modo che possa sbocciare la cultura del rispetto e dell’amore anche nei confronti della grande famiglia delle creature del mare.

Tratto da APAS (Associazione Sammarinese Protezione Animali) di Franco Libero Manco.

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