Valeria Rombolà | Gli italiani non si fidano ancora a bere l’acqua del rubinetto. A dirlo sono le recenti ricerche di mercato che stimano un forte rincaro della produzione di acque minerale: si è passati dai 6 miliardi di litri a oltre 13 miliardi di litri di produzione in pochi anni. Le aziende prelevano acqua dalle 189 fonti del territorio nazionale sul totale di 321 fonti presenti e il giro di affari del settore è stato stimato sui 2,5 miliardi di euro annui. La normativa attualmente in vigore sul tema è il decreto legislativo n. 31 del 2001, il quale fissa i parametri di salubrità e di pulizia delle acque destinate al consumo. Ma da dove arriva l’acqua dei nostri lavandini?
L’acqua può essere prelevata direttamente dalle falde acquifere, oppure dai bacini idrici (fiumi e laghi). Le falde acquifere sono molto profonde, pertanto è difficile che vengano contaminate. Inoltre l’acqua prelevata dagli gestori deve essere sottoposta a trattamenti specifici ed efficaci per renderla potabile. Sul tema, la Direttiva (UE) 2015/1787 della Commissione del 6 ottobre 2015 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, prevede un incremento dei controlli sulla qualità dell’acqua potabile. Tale controllo avverrà proprio per mezzo delle nuove tecnologie: un meccanismo high tech che verifichi la qualità dell’acqua del rubinetto per tentare di convincere il consumatore a berne di più.
Per lanciare il progetto pilota sono stati scelti 24 punti di erogazione nelle mense scolastiche di Cerro Maggiore e San Giorgio su Legnano: l’intento è quello di estendere il controllo anche in altri territori italiani. Saranno questi i luoghi in cui sperimentare una sfida che potrebbe dare una svolta non solo nostra vita quotidiana. Si intravede all’orizzonte però già l’ombra di forti polemiche, nel caso in cui un meccanismo di questo tipo riuscisse a funzionare, dati i forti interessi economici in gioco.