In occasione del centenario dalla nascita di Italo Calvino, il filologo Vincenzo Tufano analizza il confronto con la scrittura di Carlo Emilio Gadda
Il persistente cambiamento di stile di Italo Calvino, facilmente verificabile da libro a libro, è senz’altro un fatto a cui la critica ha posto particolare attenzione, cercando di cogliere una norma che abbracci tutte le sue opere. L’operazione, però, diventa difficoltosa dal momento che per Calvino, tale tramutazione, diventa essa stessa una norma. La volontà di cambiare sempre permette al lettore di non abituarsi, e la non abitudine diventa norma.
La smania, da parte dell’autore, di presentare sempre un mondo osservato da lontano, lo rende insieme oggettivo e inavvicinabile, equilibrato e sereno.[1] Possiamo partire ad indagare questo problema dall’uso dei due complementari modelli di realtà presenti nelle Lezioni Americane: il cristallo e la fiamma. Di questi due, la fiamma è il simbolo dell’impossibilità di disegnare confini. Vengono subito meno, dunque, l’oggettività e l’equilibrio. Abbandonando tale modello, Calvino rimane invischiato nell’immagine del cristallo, che nell’ultima fase della sua opera pare acquisire un aspetto imprescindibile.[2]
Quello che ci interessa in questa sede, tuttavia, è proprio l’elemento perduto e cioè la fiamma. Tale modello è associabile senza particolari difficoltà a Carlo Emilio Gadda, scrittore che nel corso della sua carriera non riesce mai a sopraelevarsi dal caos della vita quotidiana. Contrariamente alla scrittura di Calvino – misurata e tranquilla –, quella gaddiana nasce sovente dal risentimento o dall’offesa, dal pieno coinvolgimento dell’autore nella materia.
La differenza tra i due sfocia con chiarezza nelle scelte linguistiche e stilistiche, nel rapporto con la tradizione e le avanguardie, o più semplicemente nelle scelte di vita. La rappresentazione del mondo come un groviglio, senza alcun alleggerimento da parte dell’autore, fa di Gadda l’equivalente italiano di James Joyce, il cui stream of consciousness esorta lo scrittore a gettare tutto sé stesso nella pagina. Ad esempio: quello che doveva essere un romanzo poliziesco – Quer pasticciaccio brutto di via Merulana – diventa un’opera senza soluzione a causa dei dettagli che coprono tutto il disegno iniziale.
L’enciclopedismo di Gadda si rivela soprattutto nei testi più brevi, come per esempio una Ricetta per il risotto alla milanese, che viene definito non a caso un capolavoro di prosa italiana e sapienza pratica, in cui l’autore descrive i chicchi di riso ancora rivestiti del loro involucro (il pericarpo), la tipologia di casseruola necessaria, lo zafferano e le diverse fasi di cottura. L’orizzonte del discorso si allarga verso orizzonti vasti che non hanno niente a che fare con il disegno primigenio. Ogni elemento diventa centro propulsore di una rete di relazioni che lo scrittore non riesce a non inseguire. Un altro testo, simile a quest’ultimo, è dedicato alla tecnologia edilizia che dopo l’adozione del cemento armato e dei mattoni vuoti non preserva più le case dal calore e dal rumore. Parte da qui una descrizione della sua vita passata in un edificio moderno e della sua ossessione per tutti i rumori dei vicini. Da quest’ultimo brano emerge il Gadda ingegnere, pregno di cultura scientifica, di competenze tecniche e di una sincera passione per la filosofia. Per Gadda, dunque, la conoscenza equivale alla deformazione del reale. Il fenomeno osservato viene talmente ingrandito, che perde la sua forma originaria. Allo stesso modo, la realtà è tanto ricca di dettagli che difficilmente la si può conoscere in maniera lineare.
Secondo innumerevoli e prestigiosi studiosi di Calvino, l’attenzione per l’opera gaddiana fu tarda. Tra i più fortunati commenti a proposito troviamo quello di Cesare Garboli, Adriano Piacentini e Giorgio Bertone. Quest’ultimo, però, ha più volte sottolineato che in Calvino stava nascendo quell’ammirazione già a metà degli anni Cinquanta. Nel 1955, infatti, Calvino pubblicò in unico volume con il titolo I sogni e la folgore tre libri di Gadda: Il castello di Udine, La Madonna dei Filosofi e L’Adalgisa. Dunque, li aveva sicuramente sottomano.
Ancora nel 1955, su Paragone, Calvino aveva pubblicato un saggio intitolato Il midollo del leone, nel quale prendeva le distanze da un tipo di letteratura che faceva abbondante uso del dialetto. In quello stesso anno era uscito Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, pubblicato da Garzanti dopo essere stato divulgato in parte su Paragone. Prima che si alimentassero inutili polemiche, però, Calvino richiamò l’attenzione su un una distinzione: l’esistenza di un uso ingenuo e compiaciuto del dialetto (la «felice ignoranza») e un uso caratterizzato da «raffinata scaltrezza». Per questo secondo caso, molto probabilmente, pensava proprio a Gadda.
Nel 1959 Calvino tenne una serie di conferenze con un discorso che prese il titolo di Natura e storia nel romanzo. Proprio in quel periodo stava trattando faticosamente con Gadda la pubblicazione della Cognizione del dolore che sarà pubblicato solo nel 1963, quando Gadda avrà eliminato tutti i dubbi a proposito di quel testo estremamente soggettivo agli occhi di Calvino. Nel 1960, con l’uscita del saggio Il mare dell’oggettività, Calvino affronta la questione del romanzo gaddiano Quer pasticciaccio brutto di via Merulana, di cui si parlava molto in quei mesi. Il termine di paragone è Pasolini, di cui, nel frattempo, era stato pubblicato anche Una vita violenta. Secondo Calvino, il libro di Gadda offriva al lettore la possibilità di «riacquistare il distacco storico, dichiararsi diverso e distinto dalla materia in ebollizione». Pasolini, invece, «esperimenta un’umanità di grado zero, che ha a disposizione per pensare e per esprimersi il monotono lessico di poche decine d’espressioni d’un dialetto imbastardito».
Un accadimento bizzarro si verifica tra il 1967 e il 1969, cioè tra l’uscita del saggio Cibernetica e fantasmi e la Macchina spasmodica.[3] Calvino cambia la visione del reale, influenzato proprio dalla riflessione di Gadda, il cui pensiero filosofico era stato divulgato da Roscioni in La disarmonia prestabilita.[4] Calvino passa dal mondo discreto di Cibernetica e fantasmi alla visione di un mondo ingrovigliato, continuo, senza soluzione che è quello di Macchina spasmodica, il cui titolo prepara già ad una nuova rotta.
Ad informarci circa questa influenza, è lo stesso autore attraverso un articolo pubblicato su Il Caffè nel 1970, nel quale riconosce il suo debito verso l’opera di Gadda:
Scrivo questo forse anche sotto l’influenza della lettura recente del libro di Gian Carlo Roscioni La disarmonia prestabilita, che ricostruisce sui testi editi e inediti il sistema del mondo di quell’uomo «filosofo naturale» che è Carlo Emilio Gadda.
[…] Il procedimento di Gadda va dal complicato al complicato, dalla complicazione subita alla complicazione prestabilita e poi subito di nuovo soverchiante, di cui la formula algebrica è solo un fragile schermo.
A partire da questo punto il mondo di Calvino sarà continuo come quello di Gadda, anche se numerosi critici hanno continuato – e continuano – ad interpretare le ultime opere di Calvino sotto la luce della discrezione. Esempio concreto della continuazione Gadda-Calvino è la città di Andria, di cui l’autore parla in Le città invisibili (1972). Le strade di tale città corrono «seguendo l’orbita d’un pianeta» e non solo:
Ogni cambiamento implica una catena di altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città e il cielo non restano mai uguali.
Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in se stessi e la prudenza. Convinti che ogni innovazione nella città influisca sul disegno del cielo, prima d’ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi per loro e per l’insieme della città e dei mondi.[5]
E continua a proposito dell’ultima città, Berenice:
Dal mio discorso avrai tratto la conclusione che la vera Berenice è una successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. Ma la cosa di cui volevo avvertirti è un’altra: che tutte le Berenici future sono già presenti in questo istante, avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili.[6]
Nel 1974 viene pubblicata postuma la Meditazione milanese, opera che Calvino aveva finora mediato dalla lettura di Roscioni. Tale occasione è utile affinché Calvino possa finalmente lavorare sul testo gaddiano in maniera seria. Tanto che decide di recensirlo sul «Corriere della Sera». Per la prima volta, recensendo, emerge nuda la nuova visione di Calvino:
[Il libro] convincente come pochi, ma come prova potrei solo addurre la mia soggettiva predilezione per una visione del mondo come «sistema di sistemi», in cui ogni singolo elemento è sistema a sua volta, e ogni sistema-individuo riporta a un’«ascensione di sistemi», e ogni cambiamento d’un dato singolo implica la «deformazione» dell’intero sistema e così via.
L’autore si focalizza immediatamente su un aspetto che pocanzi abbiamo trattato parlando delle città di Andria e Berenice: la rete di relazioni tra le cose. Tale visione del mondo prevede che qualsiasi azione svolga un individuo, le sue ripercussioni saranno avvertite dall’intero universo. Allo stesso modo, ogni cambiamento del pianeta, avrà conseguenze su tutti gli individui. La colpa di tutto quello che accade nel mondo è di ciascun essere umano.[7]
Un problema analogo si presenta in Se una notte d’inverno un viaggiatore, che rappresenta senza dubbio il testo più metaletterario di Calvino. Qui l’autore ritorna in più momenti a far presente la stessa riflessione circa il rapporto tra la singolarità e la molteplicità:
Quello che voglio è che intorno al racconto si senta una saturazione di altre storie […] uno spazio di storie che forse non è altro che il tempo della mia vita, in cui ci si può muovere in tutte le direzioni come nello spazio trovando sempre storie che per raccontarle bisognerebbe prima raccontarne delle altre, cosicché partendo da un qualsiasi momento o luogo s’incontra la stessa densità di materiale da raccontare. Anzi, guardando in prospettiva a tutto quello che lascio fuori dalla narrazione principale, vedo come una foresta che s’estende da tutte le parti e non lascia passare luce tanto è folta.[8]
Le vite degli individui della specie umana formano un intreccio continuo, in cui ogni tentativo di isolare un pezzo di vissuto che abbia un senso separatamente dal resto – per esempio, l’incontro di due persone che diventerà decisivo per entrambi – deve tener conto che ciascuno dei due porta con sé un tessuto di fatti ambienti altre persone, e che dall’incontro deriveranno a loro volta altre storie che si separeranno dalla loro storia comune.[9]
Nel primo nucleo delle Lezioni Americane costituito da Leggerezza e Cominciare e finire, Calvino aveva stabilito che sarebbero state dedicate due delle sei lezioni presso l’Università di Harvard al valore gaddiano della molteplicità.[10] La prima avrebbe trattato la molteplicità fuori dall’opera letteraria, ciò che viene prima e dopo di essa, in buona sostanza. Nella seconda conferenza, la futura Molteplicità, avrebbe tentato di capire come questa molteplicità si può ricreare all’interno dell’opera. Tale conferenza è esplicitamente dedicata a Gadda, il quale, secondo Calvino è uno dei grandi scrittori di riferimento della letteratura contemporanea:
Cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento.[11]
Nonostante il capitolo Cominciare e finire non rimandi chiaramente a Gadda, il lettore può rintracciare i temi che Calvino associa al suo maestro: il mondo come continuum, innanzitutto. Salvo poi tornare a riproporre il tema di singolarità vs molteplicità, come in Se una notte d’inverno un viaggiatore.
L’incipit e l’explicit diventano, nel corso di questa conferenza, due luoghi ricchi di ispirazioni: il mondo vissuto e il mondo scritto entrano in antitesi, perché non si può scrivere una storia staccandola dal mondo reale, e non si può scrivere del mondo reale se non si esaminano tutte le storie che esso contiene.
Se Calvino avesse avuto la possibilità di scrivere Consistency, la sesta lezione rimasta incompiuta, molto probabilmente avrebbe approfondito la distinzione tra mondo reale-molteplicità e mondo scritto-singolarità. Proprio in tale divario, difatti, è posta la continuità tra Calvino e Gadda.
In una recensione al Castello dei destini incrociati di Calvino pubblicata su Il Globo, il 9 dicembre 1973, il germanista Italo Alighiero Chiusano scrisse:
Calvino, secondo noi, è uno scrittore tragico, forse l’unico scrittore tragico che ci sia rimasto, dopo la dipartita di Gadda.
A rafforzare l’ipotesi di Alighiero Cusano serve un’altra dichiarazione importante, questa volta di Maria Corti, nella Prefazione al libro di Adriano Piacentini sulle Lezioni americane:
Le Lezioni americane sono il libro culmine di Calvino e perciò anche il libro tragico, oltre il quale la sua mente non ha retto. La mente, che troppo aveva visto del mondo, si è fermata sotto il peso del vivere.[12]
Quale approdo migliore parlando del rapporto tra Calvino e Gadda.
BIBLIOGRAFIA
- A. Asor Rosa, Stile Calvino, Torino, Einaudi, 2001
- M. Barenghi (a cura di) Saggi, Milano, Mondadori, 1995, voll.1-2
- M. Barenghi, B. Falcetto, Romanzi e racconti, II, Milano, Mondadori, 1991, 1992, 1994
- I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988.
- C. E. Gadda, La cognizione del dolore, Milano, Garzanti, 1997
- A. Piacentini, Tra il cristallo e la fiamma. Le Lezioni americane di Italo Calvino, prefazione di M. Corti, Firenze, Atheneum, 2002
- C. G. Roscioni, La disarmonia prestabilita. Studio su Gadda, Torino, Einaudi, 1969
[1] Per approfondire si legga la recensione di Citati a Le città invisibili, 1972.
[2] Si legga la trattazione di Asor Rosa, 2001.
[3] Si possono leggere entrambi in Barenghi, 1995.
[4] Roscioni, 1969.
[5] Barenghi e Falcetto, 1991, 1992, 1994, p.486.
[6] Ivi, p.469.
[7] Gadda, 1997, p.83.
[8] Barenghi e Falcetto, 1991, 1992, 1994, p.716.
[9] Ivi, p.761.
[10] Il concetto di molteplicità, bisogna dire, è legato fin dal 1962 al nome di Gadda, ovvero dalla pubblicazione del saggio calviniano La sfida al labirinto, uscito sul Menabò.
[11] Calvino, 1988, p.105.
[12] Piacentini, 2002, p.17.