Antonella Frontani
Il festival di San Biagio, giunto alla XV edizione, è ormai una manifestazione internazionale. Ecco il racconto dell’incontro con Johan Schmidt, special guest belga che si è esibito nella chiesa del Monastero.
Il 25 agosto scorso sono arrivata felice al Monastero di San Biagio per ascoltare il concerto che, poco dopo, si sarebbe tenuto nella chiesa della struttura, in occasione della quindicesima edizione del festival di musica classica. Non avevo tenuto conto della folla, accorsa da ogni dove, per ascoltare il Maestro Johan Schmidt, uno dei più famosi pianisti belgi, affermatosi in molti prestigiosi concorsi internazionali. Non è solo un musicista dalle spiccate qualità virtuosistiche, è anche, e soprattutto, un raffinato, sensibile interprete.
Dopo averlo ascoltato suonare, ho capito cos’è che muove la folla che lo segue e, nel corso della nostra intervista, ho potuto carpire il fascino che emana. Tutto nasce dal suo rapporto con la musica. Ed è su questo legame appassionato che si svolge la nostra lunga, piacevole chiacchierata.
Maestro, dopo aver ascoltato la sua esecuzione, è inevitabile chiederle di raccontare il suo rapporto con la musica
“Il rapporto con la musica è una questione complessa ed è il fulcro attorno al quale ruota la vita di un musicista. Difficile riuscire a spiegare questo legame impalpabile. Al di là dello studio, ineludibile, si tratta di una dimensione metafisica, un vero sostegno all’esistenza, una lingua universale in grado di narrare ogni emozione” risponde con la profondità che si scorge dalle sue parole e il garbo che contraddistingue il suo gesto.
Qual è il momento in cui un musicista diventa interprete?
“Per un musicista la capacità di interpretare una partitura non dipende solo dalla sua tecnica ma dal rapporto di scambio emotivo che deve necessariamente instaurare con il pubblico. L’interprete ha il compito di fungere da filtro, mentre il silenzio è il mezzo necessario a realizzare il passaggio con il pubblico” risponde, interrompendo per un attimo il racconto che poi riprende “Il silenzio in musica è fondamentale…” aggiunge mentre mi torna in mente un’importane citazione: la partitura è un insieme di silenzi inframmezzati dalle note.
Maestro, indugiamo sul concetto dell’’importanza del silenzio…
“È fondamentale e bisogna ricordare che esistono tanti tipi di silenzio: interrogativo, dell’attesa, di sgomento, di delusione, di estasi. E il musicista lo percepisce. Affinché la comunicazione tra lui e pubblico avvenga, è necessario che l’artista sia in grado di esplorare se stesso per restare in ascolto di sé. Questo equilibrio si altera quando il musicista finisce in uno stato di tensione perché s’incrina la sua capacità di ascolto del suono e del giusto intervallo tra le note”.
L’importanza dell’ascolto.
“È necessario ascoltare tutto il suono, fino al suo esaurirsi, fino alla fine della vibrazione affinché avvenga una perfetta connessione con il suono successivo. Tutto ciò riguarda il “legato” che in musica rappresenta l’articolazione ben connessa, posta in modo da non lasciare silenzi fra le note”.
Rapporto con il pianoforte
“Il pianoforte è solo uno strumento. È il pianista che deve immaginare “altro” per costruire il fraseggio. Lo strumento è il terreno di ricerca del suono perfetto. È il punto di approdo del gesto che parte da molto lontano per giungere alle mani, fino alla tastiera. Un percorso che parte dalla parte più profonda di sé per sviluppare l’idea della nota e muovere ogni muscolo del corpo alla ricerca della stessa. Questo implica necessariamente la comprensione della partitura. Dunque, il compito più difficile è carpire l’anima della partitura e renderla al pubblico, nel pieno rispetto della dinamica del pezzo. Credo che ciò rappresenti la differenza tra un musicista e uno strumentista”.
Parliamo del ritmo
“Fondamentale. Il ritmo musicale è il moto ordinato dei suoni, quello che si svolge sulla base di determinate unità di tempo e contiene molti requisiti: uguaglianza di durata (isocronismo); suscettibilità a dividersi esattamente in elementi di minore valore o a sommarsi in altri di maggiore. Se si pensa a Bach, poi, subentra un altro elemento: la pulsazione. Il suo ritmo, impeccabile, traduce la regolarità della danza, musica che diventa quasi ipnotica. È stato il primo musicista che è riuscito ad intersecare l’orizzontalità, la frase, usata per secoli, alla verticalità della partitura, la struttura”.
Qual è l’elemento che ritiene cruciale nell’insegnamento?
“Ritengo che la cosa più importante sia insegnare l’ascolto.
L’allievo deve imparare ad immaginare il suono prima di produrlo: questo è il passaggio difficile. È importante che impari a rapportare il suono alla struttura del pezzo rendendolo coerente alla partitura”.
Quanto influisce la direzione d’orchestra?
“La direzione influisce molto sull’esecuzione tenendo conto dei diversi aspetti fondamentali: il gesto, così come la direzionalità della frase e di tutta la partitura.
È talmente fondamentale che ad ogni allievo dovrebbe essere impartita qualche lezione di direzione per capire l’importanza della comprensione del testo scritto e la sua progettazione. Cercare di dirigere una partitura servirebbe a suonarla meglio. Insegna a conoscere perfettamente l’armonia e la struttura del brano: intercettarne le tensioni armoniche; capire le differenze, sottigliezze e sfumature di ciascun accordo; la differenza tra un quinto e un primo grado. E poi, esiste “Il maggiore e il minore”, due mondi opposti, come la luce e il buio, le due anime della partitura. Ogni composizione richiede la comprensione della contrapposizione tra questi due mondi”.
La musica è un esercizio continuo alla disciplina…
“Sì, indubbiamente lo studio non può mai essere interrotto, per tutta la vita. Bisogna però tener presente che per un musicista suonare è un piacere quotidiano inevitabile. È il piacere continuo della scoperta, come Ulisse alla ricerca della sua Itaca. Il piano per me rappresenta una parte del corpo e suonare, il gesto più naturale. Ecco perché lavorare per me è un vero piacere. Suonare e respirare diventano la stessa cosa…”.
Sembra facile, ma quando si può dire di aver raggiunto la fluidità nella tecnica?
Quando si riesce ad assecondare lo strumento. Quando si raggiunge il perfetto equilibrio tra potenza, passione, tecnica e naturalezza.
E il rapporto con l’orchestra?
“Più che il rapporto con l’orchestra il solista interagisce maggiormente con il suono dei singoli strumenti. Ogni strumento comporta un approccio diverso con il pianoforte. Il suono di un clarinetto cambia molto da quello di un violino, per esempio. Il dialogo cambia… Il rapporto che conta molto è anche quello tra le due mani del pianista e, addirittura, il dialogo tra le singole note, il loro rapportarsi. Un intervallo di terza è ben diverso da un intervallo di sesta, non possono essere eseguiti nello stesso modo. Il perfetto rispetto degli intervalli di note garantisce una buona esecuzione della partitura”.
Posso chiederle il rapporto con i direttori d’orchestra? E con i cantanti? E con i registi d’opera?
“Molto interessante, a volte complesso,” risponde il Maestro sorridendo
Qual è il fine ultimo della musica?
“L’obiettivo è quello di rendere facile l’ascolto della musica, linguaggio molto complesso”.
A che punto si sente della sua carriera?
“Con la musica non si finisce mai di imparare, il mio mestiere è una continua ricerca ma, posso dire, esiste una momento in cui senti di aver prodotto il suono quasi perfetto…”.