24 Novembre 2024
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Antonella Frontani

È stato un successo il concerto del Maestro Fabio Afrune alla XV edizione del Festival di San Biagio. Con lui a colloquio.

Ascoltare un concerto di Fabio Afrune è ogni volta sorprendente. Non solo per la tecnica sempre più raffinata ma anche per quello straordinario balzo emotivo che compie quando torna al pianoforte. Il sorriso accogliente e la misurata leggerezza che riserva all’interlocutore rendono fluido l’approccio con lui, con la musica e con l’esecuzione.  La sua giovialità, la sua simpatia, smorzano quel timore reverenziale che alimenta la distanza tra la platea e il Maestro. Quando, però, torna alla tastiera, la leggerezza lascia il posta alla leggiadria delle dita, l’animo scende nei più profondi meandri della musica, l’interpretazione diventa intensa. Allora, si compie il piccolo miracolo. Fabio Afrune, seppur giovane, è uno stimato musicista dall’ampio curriculum: diplomato con lode e menzione d’onore al Conservatorio di Perugia, si è perfezionato al Conservatoire Royal de Bruxelles, con Johan Schmidt e David Levy, dove ha brillantemente conseguito il Diploma di Master en Musique ”avec Grande distinction” e il Master Spécialisé di II livello “avec Distinction”. Aver vinto il “Premio Roscini”, una borsa di studio del “Rotary Club” di Bruxelles e il prestigioso Prix “Gerofi Baschwitz”, conferito ai migliori diplomati del Conservatoire de Bruxelles, non ha scalfito il suo appassionato, rigoroso percorso di ricerca di un’utopica perfezione a cui anelano i grandi artisti, consapevoli che ciò che conta è quel lungo, faticoso, felice percorso di studio. Un pianista come Fabio sarà sempre più bravo perché sa che quel percorso non deve finire mai.

L’incontro con lui avviene dopo l’esecuzione del concerto che si è tenuto nel Monastero di San Biagio, in occasione del festival giunto alla XV edizione.

Maestro, leggo il programma delle serata e sorge naturale la curiosità di sapere come sia  nato…

Iniziamo dal titolo: “Arabeske”. Sono affascinato da questa figura bizantina che domina soprattutto nel sud del nostro paese, decoro dei palazzi dall’architettura araba. Si tratta di un’immagine che mi colpì visitando Santa Maria di Leuca.

Il concerto prevedeva l’Arabesque di Debussy e quello di Schumann

Esattamente, è stato molto interessante mettere a confronto questa figura scritta da due grandi compositori come loro. Con Schumann è stata una piacevole scoperta.

Ci aiuti a capire

Stavo studiando una partitura del Maestro, in particolare godevo della lettura dell’Integrale delle sue opere per pianoforte. Lì, sono rimasto folgorato dalla struttura bizantina del suo Arabeske. Inevitabile mettere quell’opera a confronto con l’Arabesque di Debussy. Da lì è nata l’ispirazione per il concerto.

Il programma prevedeva anche musiche di Skrjabin…

Nelle partiture di questo compositore ho trovato che la sua musica fiorisca in una modalità che ricorda quella delle Variazioni di Schumann. Ho scelto le Variazioni Fantasma, opera scritta in un periodo molto difficile della sua vita. Si può dire che sia una scelta quasi in contrapposizione all’Arabesque. Non rappresenta un dramma, più esattamente, descrive una sofferenza.

Maestro, non posso dimenticare il concerto in cui lei mi conquistò con l’opera 111 di Beethoven. A che punto è la sua musica?

Ho iniziato a suonare solo ciò che mi piace davvero. La mia musica inizia ora…

Cosa intende esattamente?

Che finalmente. quando suono, posso essere me stesso piuttosto che suonare con le idee altrui.

Si avvicina al concetto di libertà?

Esattamente. Ho avuto insegnanti molto bravi, molto generosi che mi hanno insegnato a sentirmi libero, nella musica, pur nel rispetto delle regole.

Qualche rimpianto, nonostante la giovane età?

No. Non c’è tempo per il rimpianto.

Sogni?

Tanti. Sempre. Il più grande non lo posso dire…

Cosa le manca ancora, in qualità di musicista?

Tante cose ma la mia speranza è che ne manchino sempre di più. Sarà una ricerca continua, non smetterò mai di studiare.

Pensando ai suoi allievi, che tipo di insegnante sente di essere?

Non mi sento un insegnante, piuttosto, spero di essere una piccola guida nell’ambito della ricerca musicale per i ragazzi che seguono i miei corsi. Vorrei insegnare loro quel senso di libertà che mi ha reso felice, oltre che la ferrea disciplina da cui non ci si può sottrarre. Ma c’ è una cosa ancor più preziosa che dovranno imparare…

Quale?

Riconoscere la bellezza nella musica. Superare il concetto di “brano” per giungere alla sua meraviglia: l’estasi.

Di che colore è il futuro, secondo lei?

Roseo. Sto vivendo un periodo all’insegna dell’ottimismo. Un punto di vista in controtendenza con la visione più cupa che viene diffusa ovunque.

Effettivamente, il presente ci mette fortemente alla prova…

Pensare che sia tutto compromesso significa bloccare ogni processo di crescita. Non possiamo arrenderci a questo. Bisogna credere nel presente.

Il suo ottimismo si estende anche alla musica?

Certo! Eseguire brani di musica contemporanea scritti per me è il più gioioso approccio verso il futuro.

La nostra chiacchierata dura a lungo. È incantevole il suo racconto che sprigiona energia. Ha tutta la vita davanti e la determinazione di chi ha già capito dove arrivare. Sorride, scherza con quella leggerezza di ragazzo che lo rende amabile. Ma tornerà alla tastiera, lo sguardo si farà serio, le mani irrefrenabili. Sarà di nuovo autorevole. Sarà di nuovo magia per la platea.

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