Gaia Lagravinese
Progresso e rischio. Sono i due poli opposti tra i quali si muove l’interpretazione dell’intelligenza artificiale, per alcuni una opportunità per migliorare i livelli produttivi, per altri un limite e un pericolo con conseguenze già tangibili.
Se ne è parlato al Salone del Libro di Torino, durante un incontro a cui hanno preso parte consulenti del lavoro, commercialisti e professori.
Perché, tra i primi a essersi interessato e appropriato di questa nuova tecnologia è stato il mondo del lavoro, che valuta positivamente la possibilità di delegare all’intelligenza artificiale le fasi operative della produzione. Un caso su tutti, il caricamento delle fatture in uno studio di commercialisti.
Il problema però è evidente. Chi oggi carica quelle fatture, domani cosa farà? Quanti e quali lavori potrà sostituire l’intelligenza artificiale? Proprio in questa questione affonda le sue radici una riflessione tecno-etica: Chat GPT sostituirà l’uomo o lo aiuterà, lo accompagnerà nella creazione o annullerà la sua capacità creativa?
Per alcuni il mantra è «non si possono voltare le spalle al progresso», che cancella qualsiasi preoccupazione perché – dicono – dietro l’intelligenza artificiale ci saranno sempre un’intelligenza e una mano umani, pronti a orientarne gli impieghi e valutarne i risultati.
L’algoritmo, infatti, non potrà mai avere l’intuito di un professionista, è calcolato per agire non per pensare. Motivo in più per «temere più la stupidità umana dell’intelligenza artificiale».
Vero, ma se la stupidità umana portasse ad abusare dell’intelligenza artificiale? Cosa succederebbe a tutti quei lavoratori che attualmente svolgono quelle mansioni “operative” appunto, potenzialmente delegabili alla macchina? Cosa potrà questa “delega” produrre a livello di ingiustizie e disparità? Quanto profondo sarà il divario tra le imprese che hanno i mezzi per usare Chat GPT (utilizzo che comporta comunque un dispendio energetico esorbitante) e le piccole-medie imprese, le cooperative che non avranno la possibilità di usarlo?
Le risposte a queste domande le porterà il tempo, per ora non si può far altro che sperare che «l’uomo scelga di lasciare al centro l’uomo , e non fare dell’uomo un altro strumento tecnologico».