Jacopo Bianchi
Trenta fotografie, in bianco e nero, che in un crescendo di emozioni fanno rivivere il dramma di Serajevo e dei suoi 1425 giorni di assedio. A raccontare la quotidianità di quella guerra e di quella «lunga notte» sono i visi, le espressioni e i gesti delle donne, degli uomini e dei tanti bambini e ragazzi che l’obiettivo di Paolo Siccardi ha saputo fermare in attimi senza tempo, che – a trent’anni di distanza – ancora sanno rendere l’immediatezza del momento.
Siccardi, fotoreporter torinese che proprio a Torino ha iniziato la sua carriera professionale fotografando le lotte operaie degli Anni Settanta, ha raccontato l’Afghanistan, il Nicaragua, l’Iraq, l’Africa equatoriale. E con i Balcani ha da sempre uno speciale rapporto che va oltre l’interesse professionale.
Lo testimoniano i dieci viaggi che lo hanno portato a fotografare negli anni della dissoluzione della Jugoslavia la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, la Macedonia. Sempre a cogliere disperazione e speranza di una quotidianità sconvolta dall’assurda e cieca violenza della guerra.
Proprio come a Serajevo, città-martire che sa però anche regalare messaggi di speranza. «In quella guerra – ha detto Paolo Siccardi a Famiglia Cristiana (periodico con il quale oggi attivamente collabora) – nonostante tutto la vita quotidiana, pur sconvolta, andava avanti. I bambini cercavano di andare a scuola, anche se gli edifici erano distrutti. E la gente si ingegnava per sopravvivere».
Ecco così che vicino alla fotografia di un cecchino appostato dietro una finestra o del parlamento bosniaco ridotto in macerie ci sono bambini che giocano tra le lamiere di un tram dilaniato dalle bombe o che si fanno trascinare sulla neve aggrappati a un blindato delle Nazioni Unite. E lo sguardo intenso di un neonato, che non capisce quello che capita intorno ma che ha solo tanta voglia di vivere.
«La lunga notte di Sarajevo» è a Torino fino al 19 marzo al Mastio della Cittadella.