Dora Mercurio
È morto Maurizio Costanzo, uno dei volti storici della televisione italiana.
Giornalista, conduttore, autore, “padre” del format che oggi popola ogni singolo canale televisivo e non, il talk show. Per quarant’anni, con il suo Maurizio Costanzo Show ha conciliato il sonno dei bambini italiani (che per lungo tempo hanno creduto che si chiamasse proprio Maurizio Costanzo e di cognome Show) che sentivano dalla propria cameretta le note della famosa sigla, mentre papà e mamma finalmente potevano rilassarsi sul divano per godersi la seconda serata (che ancora iniziava a un’ora sostenibile).
Alcune puntate poi, sono rimaste nella storia, come la staffetta televisiva con Samarcanda di Michele Santoro che “vantava” tra gli ospiti Giovanni Falcone, “un agguerrito” Totò Cuffaro e l’incendio di una maglietta con su scritto “Mafia”.
In questi giorni centinaia di articoli ricorderanno ogni momento della sua vita televisiva e privata.
Le trasmissioni create tra “Mamma Rai” e Mediaset quando ancora si chiamava Fininvest, i libri, i personaggi che “ha scoperto”, le canzoni come “Se telefonando” resa immortale da Mina e dalla musica di Ennio Morricone.
Verranno ricordati l’attentato mafioso del 1993 che ha ferito 22 persone, i quattro matrimoni, l’ultimo dei quali con un’altra icona della televisione, Maria De Filippi. Alcuni parleranno anche di quella famosa tessera della P2 che negli anni Ottanta lo fece dimettere da qualsiasi ruolo e che per mesi lasciò “muto” il suo telefono così come raccontato da lui stesso in un’intervista a Sette. (LEGGI QUI)
In un modo o nell’altro tutti lo ricorderemo quindi. Ma perché?
Perché rimaniamo così colpiti dalla morte di un personaggio pubblico, cosa ci porta a ripercorrere la sua vita, a partecipare al lutto della sua famiglia?
Nel 2012 alcuni studiosi del lutto hanno legato questo sentimento “popolare” all’introiezione (“il processo per cui aspetti, qualità e relazioni del mondo esterno si trasferiscono nella vita psichica del soggetto”). “Secondo gli autori, questi processi aiutano a far fronte al dolore e hanno un ruolo nella creazione della propria identità personale, oltre a contribuire alla mitologia della celebrità stessa dopo la sua morte”. (per approfondire LEGGI QUI)
Una cosa è certa. Per molti di noi, personaggi come Maurizio Costanzo, Corrado, Mike Buongiorno, sono stati parte della famiglia. Ci hanno accolto a casa rientrando da scuola o dal lavoro, hanno condiviso pranzi e cene, ci hanno insegnato che è possibile imparare qualcosa anche da un quiz televisivo e che avere un momento di spensieratezza non significa necessariamente “spegnere il cervello”.
Sono stati le colonne portanti di una generazione, lo specchio di una società in cui si cercava di costruire qualcosa di buono e dove si dava una vera importanza alla comunicazione “fatta bene” perché il pubblico non era solo un numero di share da raggiungere, ma un popolo a cui servivano delle figure di riferimento e che potevano trovarle anche all’interno di una scatola in metallo.
Come ha detto oggi Vittorio Sgarbi, uno dei personaggi “scoperti” proprio da Costanzo: “la televisione è che capiti qualcosa. E da lui capitava sempre qualcosa”.