22 Novembre 2024
Ancora alle prese con la pesante eredità dell'acciaieria, la cittadina toscana si schiera contro il progetto del governo che vorrebbe ormeggiare in porto un rigassificatore da 170mila m3
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La Golar Tundra è una floating storage and regasification unit – una nave di stoccaggio e ri-gassificazione – lunga 293 metri e capace di immagazzinare e trattare 170mila m3 di Gas Naturale Liquefatto. È stata varata nel 2015 e un mese fa è stata acquistata da Snam, che ha chiuso con la Golar LNG Limited un contratto da 330 milioni di euro. (LEGGI QUI)

Oggi incrocia al largo della costa portoghese (segui su Vesselfinder), ma nella prossima primavera potrebbe lasciare il mare aperto e gettare le ancore nel porto di Piombino (cittadina di 35mila abitanti della provincia di Livorno, il più vicino e frequentato porto d’imbarco per l’isola d’Elba) e rimanere ormeggiata in banchina per tre anni.

La Tundra è la nave scelta da Snam su richiesta del governo per dare attuazione al nuovo piano nazionale per l’indipendenza energetica: da sola, con la sua capacità di rigassificare fino a 5 miliardi di m3 di GNL all’anno, soddisferà il 6,5% del fabbisogno nazionale. Ed è il primo tassello di un più ampio programma di approvvigionamento di gas, che dovrà sopperire alla riduzione (già in corso) di trasferimenti dalla Russia. Una nuova nave, la BW Singapore, del tutto simile alla Tundra, è stata infatti venduta sempre dalla Golar a Snam, che entro il 2024 provvederà a ormeggiarla al largo di Ravenna.

La Tundra, però, è soprattutto la nave della discordia, che a Piombino nessuno vuole in porto e che invece Mario Draghi, il dimissionario presidente del Consiglio, insieme al ministro Roberto Cingolani, vuole vedere operativa già a marzo del prossimo anno. Lo ha ribadito ancora nel suo discorso in Senato di mercoledì 20 luglio, poco prima di aprire la crisi di governo.

Tutti contro, tranne Roma

foto: livornotoday.it

Non appena il ministero della Transizione ecologica ha confermato che la Tundra era destinata a far rotta su Piombino, quelle che erano preoccupazioni e lamentele sono diventate proteste. E per la seconda volta nel giro di pochi giorni i piombinesi sono tornati in strada per dire “no” al progetto.

In piazza Bovio sabato 16 luglio erano un migliaio a far sentire la propria voce, soprattutto per dire che la città, dopo un secolo di siderurgia, «ha già dato» il suo contributo allo sviluppo economico del Paese. E che un rigassificatore ancorato in porto significherebbe «dire addio ai progetti di diversificazione economica della città, che punta decisamente sul turismo, sull’ambiente e sull’energia alternativa».

Una protesta che ha unito Piombino ai comuni della Val di Cornia e soprattutto ha visto schierati dalla stessa parte (centro)destra e (centro)sinistra: in corteo hanno sfilato infatti le bandiere di Rifondazione, dei Cinque Stelle, del PD e di Fratelli d’Italia. Proprio gli stessi partiti che in Parlamento, quando Draghi ha definito il progetto di Piombino «questione di sicurezza nazionale» non hanno sollevato obiezione alcuna.

Una esternazione che non ha lasciato indifferente il primo cittadino di Piombino. Francesco Ferrari (FdI) ha infatti chiesto al Mite spiegazioni in merito ai criteri adottati per far ricadere la scelta proprio su Piombino. «A questa domanda il Mite non ha saputo rispondere – ha detto Ferrai – e ciò significa che, evidentemente, la decisione è stata arbitraria e senza fondamento tecnico. Questo è inaccettabile. Vogliamo avere garanzie sulla sicurezza, accesso agli studi tecnici, non ci basta la parola del presidente Draghi».

Le preoccupazioni di Legambiente

Preoccupazioni, quelle di amministratori e cittadini, condivise e rilanciate anche da Legambiente che in una nota ha spiegato le sue ragioni del “no”. «Il rigassificatore sarebbe posizionato irresponsabilmente vicino agli imbarchi e a una zona di mare che dovrebbe essere tutelata ma che continua ad essere soggetta ai più disparati attacchi».

La nave è caratterizzata dalla tecnologia a circuito aperto: il gas liquido immagazzinato a -160 gradi viene riportato allo stato gassoso tramite scambiatori di calore che utilizzano l’acqua del mare (più calda del gas), destinata a fine ciclo a essere rilasciata nuovamente nell’ambiente marino. GNL e acqua di mare si scambiano così energia – spiegano da Snam – pur non entrando mai in contatto tra loro.

Ma le preoccupazioni per l’ecosistema costiero rimangono, così come quelle di un utilizzo di cloro. Senza contare che in caso di incidente la pericolosità del gas immagazzinato è pari a quella di un ordigno nucleare. E per tre anni più di 3,5 km di costa sarebbero interdetti alle normali attività, sul mare e sulla terraferma.

Anche dal punto di vista economico l’impianto di Piombino, poi, non sarebbe sostenibile: «un rigassificatore – aggiungono ancora da Legambiente – non può essere la soluzione alla dipendenza dai combustibili fossili: il gas naturale liquefatto diventerà sempre più costoso e scarso e viene estratto spesso con una tecnica, il Fracking, che provoca ulteriori danni ambientali e climatici».

L’unica alternativa, per rendere l’Italia più indipendente dal punto di vista energetica restano così le fonti rinnovabili a cominciare dal fotovoltaico e dell’eolico offshore, anche galleggiante.

Anche perché, conclude la nota di Legambiente, se si vuole promuovere un turismo sostenibile e consapevole «non può esserci un rigassificatore proprio nell’unico punto di accesso all’Isola d’Elba».

Tempi incerti

Il rigassificatore di Piombino nelle intenzioni del governo dovrebbe essere operativo a marzo 2023. Questo grazie anche a un procedimento autorizzato accelerato di 120 giorni inserito del Decreto Aiuti. Ad avviarlo il presidente della Regione Toscana e neocommissario Eugenio Giani.

Che, dopo aver avanzato richieste di compensazioni piuttosto impegnative, a partire dalle bonifiche e dagli sconti erariali per i residenti, ha però già messo le mani avanti: «per i permessi bisogna attendere il nuovo esecutivo». Il procedimento ha validità 120 giorni e scadrà il 20 novembre. Un paio di mesi prima si voterà per il rinnovo del Parlamento. Per il rispetto dei tempi, dunque, bisognerà attendere la formazione di nuove maggioranze e nuove “agende”.

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