Francesca Grassitelli
Negli ultimi anni la fisioterapia ha allargato le proprie frontiere, includendo le onde d’urto – anche dette shock waves. E’ questo l’argomento della nuova puntata de #LaSalute, andata in onda venerdì 04 giugno.
A parlarne il fisioterapista Massimiliano Corvasce, ospite di questo appuntamento.
Strumento riabilitativo alquanto recente, le onde d’urto vengono applicate da circa una trentina d’anni e sono ancora in forte evoluzione. Sono infatti nate per l’eliminazione delle calcolosi renali, ma hanno ben presto dimostrato la loro efficacia anche nel caso delle calcolosi ortopediche o delle patologie d’anca di origine muscolo-tendinea.
Si tratta di onde scioccanti, che urtano i tessuti senza però danneggiarli. Dal punto di vista fisico, esse si presentano sotto forme di onde infrasonore che si ripercuotono sulle cellule contenenti residui articolari. Così facendo, causano una forte eccitazione circolare e vanno a stimolare il processo di autoriparazione dei tessuti.
Ma per meglio conoscerle, è bene innanzitutto distinguere tra onda d’urto radiale e onda focale, entrambe di tipo acustico ma che presentano indicazioni ed effetti diversi.
Impiegate per la prima volta negli anni Ottanta nel settore riabilitativo, le onde d’urto focali richiedono – appunto – la focalizzazione del raggio su un punto specifico.
Le radiali, invece, si “disperdono” all’interno del muscolo e a seconda della loro intensità possono raggiungere anche la membrana che riveste la struttura ossea.
Il loro impiego necessita l’interposizione di un gel che permette al manipolo di scivolare senza attrito sulla cute del paziente, lo stesso gel che viene utilizzato nelle ecografie. Questo, soprattutto nel caso delle onde radiali, che possono muoversi all’interno dello spazio patologico nella sua interezza.
Ma non è tutto. L’evoluzione del trattamento riabilitativo ha portato anche alla “creazione” di progetti misti, che prevedono l’abbinamento di onde sia radiali che focali.
Le stesse aziende che producono questi macchinari si stanno ora specializzando nella fabbricazione di macchinari per l’appunto “misti”, con l’obiettivo di trattare sia il punto focalizzato del problema sia la parte muscolare circostante.
Questa nuova frontiera non deve chiaramente sostituire l’utilizzo di una singola tipologia di onda d’urto, ma costituire un nuovo strumento di cura e riabilitazione cui ricorrere lì dove necessario, come nel caso delle patologie di origine calcifica.
Esistono difatti dei protocolli da seguire a seconda delle diverse patologie. Generalmente, il numero di colpi per ogni distretto da trattare ammonta a circa 2000, ma ogni patologia ha la sua specificità e la sua onda d’urto “preferita”.
Ad esempio, se prendiamo in considerazione il trattamento sulla lombosciatalgia, l’onda d’urto può trovare largo spazio all’interno del protocollo riabilitativo con lo scopo di favorire la decontrazione muscolare. In questo caso, è necessario premere molto per arrivare alla fascia muscolare interessata ed emanare 1000 colpi ogni 15 cm quadrati.
Negli ultimi anni, inoltre, sono molte le ricerche scientifiche che mirano a fornire evidenze sull’impiego delle onde d’urto in contemporanea con le infiltrazioni di acido ialuronico.
In questo tipo di protocolli, è preferibile ricorrere ad una seduta per settimana, dal momento in cui la vibrazione prodotta dall’onda ridonda nei nostri liquidi per 3-5 giorni. Di conseguenza, per avere i risultati sperati bisogna far terminare questo ritorno di onda: ricorrervi a distanza ravvicinata potrebbe infatti produrre una sovraeccitazione circolare, non sempre favorevole alla riparazione del tessuto.
Il protocollo, inoltre, prevede dei numeri minimi di sedute affinché ne derivino benefici. Per le onde focali, si parte da un minimo di 3 sedute; mentre per le radiali è necessario raddoppiare il numero. Come specificato in precedenza, una per ogni settimana.
Ma niente paura. Diversamente da quel che si pensa, le onde d’urto sono assolutamente sopportabili e non dolorose, anche se dipende chiaramente dalla sensibilità del paziente e dal punto d’impatto.
Per esempio, il piede è una delle zone più sensibili del nostro corpo, per cui qui la vibrazione percepita risulterà poco più fastidiosa del solito.
Per approfondire l’argomento, vi invitiamo a recuperare la puntata dal link qui sotto.
Nel frattempo, vi aspettiamo per il prossimo appuntamento sempre con il dottor Corvasce, per parlare ancora di fisioterapia e tecniche riabilitative.