Alessandra Ferrara
Il coraggio è una virtù che evoca immediatamente l’immagine di un condottiero che combatte per la propria patria fino al punto di sacrificare la sua stessa vita. Immagine che si plasma come metafora per infiniti aspetti della nostra quotidianità: il coraggio di denunciare, di compiere una scelta, di aver paura, di amare, di affrontare le proprie debolezze, di accettarsi.
Il condottiero coraggioso può essere ognuno di noi, indistintamente maschio o femmina, poiché sono le sue gesta che lo rendono tale e non il suo genere.
La storia, però, spesso lo dimentica: ricordiamo il nome di condottieri come Giulio Cesare, Attila o Napoleone. Tutti uomini. Nessun nome di donna arriva nell’immediato se non quello di Cleopatra, Giovanna D’arco o la regina Vittoria.
Il pennello o la partitura musicale superano l’ostacolo trasformando in tele o composizioni l’intimità dell’autore, il suo pensiero attraverso le stesse immagini storiche.
È il caso del personaggio biblico di Giuditta. Un’ebrea potente e sfrontata che salva la sua città, Betulia, dall’assedio assiro. È un duello ad armi pari quello di Giuditta ed Oleferne generale dell’esercito nemico di Nabucodonosor: la bellezza fisica della donna incanta il guerriero cieco che non percepisce il coraggio e l’intelletto, che arde in Giuditta nell’affrontarlo per la salvezza del suo popolo. Lui si lascia sopraffare dalla passione perché una donna, nemica, non può che concedersi alle sue braccia. Lei, una volta conquistato gli taglia la testa assicurando la vittoria della sua città.
<< La spada dell’empio e indegno tiranno appesa ai piedi del letto, ecco lo snudo, sferro un colpo, e dal corpo di Oloferne, nel tuo nome, O Dio, tronco la testa. Addio, tenda provvidenziale, la grande vittoria che avvenne qui dentro, sarà sempre celebrata in cielo e in terra.>>
Recita la Giuditta di Vivaldi nell’ oratorio “Juditha triumphans”, composto in occasione della vittoria della Repubblica di Venezia contro i Turchi nel 1716. L’eroina ebrea personifica la città di Venezia nella lotta all’assedio turco sull’isola di Corfù.
<<Salve, fiera e invincibile Giuditta, splendore della patria e speranza della nostra salvezza. Vero modello di somma virtù, in eterno sarai sempre nel mondo.>>
Nell’acclamazione finale del libretto dell’opera, Giuditta non è definita solamente fiera e invincibile, ma soprattutto speranza di salvezza e modello di somma virtù.
Ecco che viene sintetizzato il motivo per cui questa donna è stata simbolo di coraggio e abbia ispirato anche rappresentazioni pittoriche soprattutto in età Barocca con la pittrice toscana Artemisia Gentileschi.
L’artista dipinge ben due “Giuditte” nel momento in cui, con l’aiuto della fedele ancella, Oleoferne viene decapitato. La sicurezza sul volto di Giuditta nel compiere l’omicidio è dipinta magistralmente da Artemisia: lo sguardo attento sul corpo della vittima è conferito dalla posizione della fronte e dalla smorfia fatta dalla bocca per riflesso, le braccia sono ben tese, forti. Il tiranno non può sfuggire alla morte.
Sicuramente, come affermato anche dai critici dell’arte, Artemisia conferisce al dipinto il coraggio di aver denunciato lo stupro subito dal suo maestro Agostino Tassi che riesce anche a portare davanti un giudice, ma uscendone ancora una volta vittima. A Tassi, infatti, non viene conferita alcuna pena, anzi la sentenza allontana la pittrice dalla sua città a causa del giudizio morale a cui è sottoposta.
Con la sua Giuditta, Artemisia vince la sua personale battaglia contro ogni condanna. Torna quindi il tema della speranza di salvezza e di invincibilità citata nel libretto vivaldiano di cui l’eroina ebrea è eterna custode.
L’essere coraggiosi, in quanto virtù innata nell’uomo prescinde ogni confine di genere: appartiene indifferentemente a uomini e donne. È necessario solo capire quando esercitarla.