Carlotta Viara |
L’anno scorso era a Berlino, l’anno prossimo sarà a Parigi.
Quest’anno l’installazione campeggia, da qualche settimana, a New York, nel centro di Manhattan, per la precisione in Union Square, sulla parete del grattacielo Metronome: è Climate Clock, l’imponente orologio digitale che, secondo dopo secondo, scandisce il conto alla rovescia del tempo che resta per salvare il pianeta Terra dai cambiamenti climatici causati dal surriscaldamento globale.
Strategicamente posizionato laddove i newyorkesi sono soliti rivolgere lo sguardo per vedere che ore sono, impossibile non notarlo. E per chi non si trovasse a passare di lì, eccolo nella sua versione web: https://climateclock.world.
Si tratta di un progetto caldeggiato dagli attivisti, promosso dall’ONU e realizzato grazie alla sinergia tra arte e scienza, in un performante connubio di design minimal e tecnologia avanzata. Andrew Boyd e Gan Golan i padrini dell’iniziativa, a testimonianza dell’estrazione trasversale dei sostenitori dell’idea.
Con il suo incessante scorrere inesorabilmente all’indietro, questa “scadenza visiva” segnala quanto poco tempo sia rimasto (sette anni e meno di cento giorni) per intraprendere un’azione decisiva di rimedio al disastro ambientale.
È una sorta di allarme, a rimarcare l’impellenza di abbatterele emissioni di biossido di carbonio,prima che sia troppo tardi e si arrivi al punto 0, il punto di non ritorno.
Che la situazione, già grave, stia degenerando è agli occhi di tutti, anche dei più scettici: il sensibile aumento delle temperature sta producendo l’effetto scioglimento dei ghiacciai, con conseguente innalzamento dei livelli del mare (pronto a fagocitarsi isole e coste).
In aggiunta, a “rincarare la dose”, alluvioni, incendi & altre calamità naturali, da episodi sporadici ed isolati, sono fenomeni ormai entrati a far parte della nostra normalità.
Acquista allora un senso importante Climate Clock, “monito collettivo” verde e rosso.
La fascia rossa (definita la deadline), nel suo convulso retrocedere di anni/giorni/ore/minuti/secondi, ad indicare il countdown entro il quale s’impone agire per scongiurare l’irreparabile.
Quella verde (definita la lifeline), in controtendenza, a tratteggiare la (per fortuna) crescente percentuale dell’energia attualmente fornita dalle fonti rinnovabili, su cui occorre responsabilmente puntare.
Infine, ad accompagnare le asettiche sequenze numeriche, la scritta: “La Terra ha una scadenza”.
Inquietante memento che già da oltre mezzo secolo (1947) ci ricorda l’altro orologio (metaforico) maggiormente noto, il Doomsday Clock di Chicago, che proprio nel 2020, nel registrare i 100 secondi dalla mezzanotte, ha raggiunto il punto più vicino di sempre all’ “apocalisse” (https://thebulletin.org/doomsday-clock/).
E stavolta sul banco degli imputati non c’è il coronavirus.
Una volta tanto il colpevole non è l’estraneo, ma siamo noi, i padroni di casa.