Carlotta Viara
Di sopralluogo in sopralluogo, di rilievo in rilievo, proseguono le indagini relative allo straordinario ritrovamento, sui fondali del mar Ligure, nelle acque dell’area marina protetta di Portofino, di un relitto navale di dimensioni imponenti.
Si tratterebbe del mitico Santo Spirito, veliero rinascimentale affondato al largo di Camogli 441 anni fa, del quale si erano perse completamente le tracce.
L’annuncio della scoperta, cui i media hanno dato ampio risalto, ha mandato letteralmente in visibilio gli appassionati di archeologia subacquea e quanti non resistono al fascino di una storia che sconfina in leggenda.
Il ritrovamento
Autori del rinvenimento, avvenuto a 50 metri di profondità nel corso di un’esplorazione del tratto antistante Punta Chiappa, sono due sommozzatori professionisti, che operano per una ditta specializzata in posa di condotte e pontili.
L’intento era di perlustrare una zona ancora poco “battuta” dai sub amatoriali; a catturare l’attenzione, un coacervo di reti, cime, catene e generose concrezioni, indizi eloquenti della presenza di antichità sommerse; celata dall’informe ammasso, la sagoma di un’ancora di tipo ammiragliato e, poco più in là, una serie di elementi lignei ordinatamente disposti a pettine: la fiancata di un’imbarcazione ovvero … il sogno, fatto a realtà, di ogni “cacciatore” di tesori che si rispetti.
Il galeone Santo Spirito
Annoverato dagli annali come tra i più spettacolari del tempo, il galeone Santo Spirito vantava una stazza di 1800 tonnellate (equiparabile a quella del celeberrimo Vasa di Stoccolma (https://www.vasamuseet.se/it) ed un equipaggio di 130 persone, tanto da far presumere che fosse il più maestoso (proto)vascello a solcare, in età cinquecentesca, i flutti mediterranei.
Alla sua guida, il capitan Iveglia, membro di una facoltosa dinastia di armatori di Ragusa dalmata (l’odierna Dubrovnik), florida repubblica marinara sulle sponde adriatiche, che si contendeva, con “la Superba”, l’egemonia dei traffici commerciali nel mare nostrum.
Il naufragio
Come riportano le cronache dell’epoca, nel tardo pomeriggio del 29 ottobre 1579, il mercantile fu sorpreso, nel golfo del Tigullio, da un violento fortunale.
Proveniente dalla Spagna, era partito il giorno prima da Genova (sosta tecnica), già fortemente provato dal dilagare a bordo della peste nera; destinazione Napoli, per la consegna, su commessa, di un carico di cinque cannoni di bronzo con relative munizioni.
I marinai furono tratti in salvo dagli abitanti dei paesini costieri, ma la nave non ebbe scampo e, dopo aver invano cercato riparo nelle insenature del promontorio, cedette alla furia del libeccio, infrangendosi contro gli scogli e colando infine a picco ad una decina di miglia nautiche ad est del capoluogo ligure.
Dell’apocalittico naufragio se ne favoleggia da secoli: si narra di solcometri e carte piane affioranti tra le onde, di stoffe pregiate e vasellame “spiaggiato” alla deriva nonché di abili nuotatori, prezzolati dal governatore iberico, per recuperare il recuperabile.
La tradizione orale non è tuttavia confortata dalle fonti archivistiche: tanto mistero è tuttora custodito nel profondo degli abissi.
Gli studi in corso
La Soprintendenza dei beni culturali della Liguria, in coordinamento con il nucleo carabinieri subacquei, ha ingaggiato uno staff di esperti per gli studi del caso (ivi inclusa l’analisi al carbonio 14).
I dati finora raccolti inducono trattarsi verosimilmente proprio del Santo Spirito, in ragione del luogo del ritrovamento e della tipologia dello scafo.
L’eccezionalità della scoperta risiede nella sua rarità; a fronte delle numerose imbarcazioni romane individuate, pochissime quelle risalenti al ‘500.
Ciò rende il reperto un inestimabile “scrigno” di preziose informazioni.
Intanto, si è prioritariamente provveduto ad interdire l’accesso all’area interessata.
E si profila anche l’interessante ipotesi di realizzare un sito archeologico subacqueo, sul modello del parco sommerso di Baia (http://www.parcoarcheologicosommersodibaia.it/parco.php?id_lingua=it), davvero unico nel suo genere, per la valorizzazione culturale e turistica della zona, la cui naturale bellezza è innegabile.