Carmela Pontassuglia
“Il Nobel non cambierà la mia vita. Continuerò a lavorare come ho sempre fatto e il ricavato lo devolverò in beneficenza e per aiutare i giovani studiosi di neurobiologia”
Una persona comune dall’animo altruista, una donna esigente dalle grandi passioni, una scienziata coraggiosa dalla mente brillante e un Premio Nobel per Medicina che profuma di umiltà.
L’eleganza dei suoi movimenti, un fisico forte e mingherlino, un sorriso premuroso e un tono di voce deciso e grintoso, disegnano la figura di una bambina fragile e di una donna determinata incoraggiata da grandi ambizioni.
Cento-tre anni dedicati alla scienza, alla passione per il più complesso degli organi da lei definito “una scacchiera”; di guerre e fascismo contrastati, di soddisfazioni per cui essere fiera, di ossessioni infantili trasformate in ottimismo, di pregiudizi combattuti e sconfitte accettate. Rita non ha mai perso la voglia di studiare, imparare e farsi in quattro per aiutare il prossimo:
“Ho cento anni e ritengo di lavorare con più intensità, anche a livello sociale”
A 93 anni corona un sogno che custodiva nel suo cassetto con premura e nel quale non ha mai smesso di credere, crea la Fondazione Rita Levi-Montalcini per favorire e promuovere la diffusione dell’istruzione e della formazione professionale delle nuove generazioni, in particolare delle donne e bambine nel continente africano. Rita, che negli anni Trenta è stata una delle prime donne ricercatrici nella scienza, si è sempre battuta per la parità tra i generi in tutti i campi, ma non ha mai creduto nei movimenti femministi.
“Con l’istruzione si sconfigge l’ignoranza che è alle radici della povertà e della fame”
Conoscevo la Rita scienziata, le sue ricerche e scoperte, l’assegnazione del Nobel, ma non conoscevo quasi nulla della sua vita privata, del suo carattere e della sua giovinezza, fino al giorno in cui ho letto “Rita Levi Montalcini.L’irresistibile fascino del cervello”, libro scritto dall’autrice e giornalista Enrica Battifoglia, incontrata al Salone Internazionale del Libro di Torino 2018.
Divorando quelle pagine così vive e coinvolgenti, specchio di emozioni ed esperienze concrete, ho scoperto il lato umano e sensibile della signora di ferro della scienza italiana. Mi sono ritrovata nella Rita ragazza con cento pregi e mille difetti, con la paura di non riuscire a realizzarsi, con tante idee da riordinare nella mente, curiosa e con la giusta dose di entusiasmo acceso dalle sempre nuove e impegnative sfide in cui amava lanciarsi.
Amore e odio, in casa Montalcini
Nata e cresciuta a Torino, nella prima metà del ‘900, da famiglia ebrea, Rita ha ereditato dai suoi genitori, mamma pittrice e papà ingegnere elettronico e matematico, una grande intelligenza, un grande senso di dedizione e uno smisurato amore verso il proprio lavoro.
Amava il calore della sua famiglia, tanto apprensiva quanto comprensiva, che lei definiva “una meravigliosa atmosfera, piena di amore e di dedizione reciproca” e viveva in simbiosi con sua sorella-gemella Paola. Un’artista e una scienziata, diverse a modo loro, ma accomunate da un grande spirito intuitivo.
L’iscrizione alla facoltà di medicina, raramente scelta dal sesso femminile all’epoca, è stata la prima vera vittoria per Rita, dopo anni di duri scontri con un padre autoritario, poco propenso al cambiamento e che ha sempre sperato e desiderato per lei un futuro da brava madre e moglie devota, destino che già all’età di 9 anni le stava stretto e non concepiva.
“Alla mia scelta di voler studiare mio padre obiettava che per una donna non era necessario essere un professore, ma io mi sono opposta, volevo essere libera nella mia scelta”
Non potendo frequentare le scuole superiori, Rita studia da sola, nella sua stanzetta accogliente. Una condizione di infelicità, che fortificava la sua autostima e le conferiva coraggio e concentrazione nel perseguire e raggiungere gli obiettivi per cui era pronta a spendere la vita intera.
E poi…la svolta!
“Se questo è veramente il tuo desiderio non te lo impedisco, anche se ho molti dubbi sulla tua scelta”. Le parole rassegnate, diffidenti e amorevoli del padre le cambiano completamente la vita. Ora ha un motivo in più per combattere, non deludere se stessa, suo padre e la sua famiglia.
Una corsa ad ostacoli vinta dalla resilienza
Mollare? Perché mai. Nel vocabolario della signorina Rirì, come la chiamavano i suoi professori, questo verbo era bandito, nonostante le innumerevoli delusioni e difficoltà con cui il mondo della scienza si imponeva e le sbarrava la strada. Le critiche del suo maestro, collaboratore, assistente e compagno di viaggio Giuseppe Levi, che stimava e adorava come nessun altro, la gettavano in un abisso profondo di insicurezza e impotenza. Aveva la sensazione di dover desistere e lasciar perdere l’unico amore della sua vita, la neurobiologia dal quale purtroppo non riusciva a ricevere risultati e risposte di facile interpretazione.
Una relazione burrascosa, fatta di liti e incomprensioni, un giorno, infatti il rigido maestro Levi la relegò nel registro degli “impiastri” e le disse che non era portata per la ricerca. Parole taglienti, graffianti che, forse avrebbero spento la passione e la dedizione in ognuno di noi. Ma Rita, rialzò la testa, si rimboccò le maniche del suo camice e riprese a lavorare con assiduità e determinazione.
Da Giuseppe Levi, la giovane studiosa apprese la tecnica istologica per studiare le cellule cerebrali, ma soprattutto da lui trasse una preziosa lezione di resilienza.
Il periodo più tragico fu segnato dall’emanazione delle Leggi Razziali, che impedivano a tutte le persone ebree di lavorare e studiare. La vita professionale che Rita stava costruendo con la sua forza di volontà era in pericolo. Non poteva permettersi di perdere tutto. Così, senza gettare la spugna, trasforma la sua camera da letto in un laboratorio. Un’idea geniale che le ha permesso di sentirsi libera, bloccata nelle sue quattro fedeli mura. Un po’ come Robinson Crusoe nella sua isola felice.
“Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva. Bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi”
Una sorpresa. L’umanità ha fiducia in Rita
Era il 13 ottobre del 1986, Rita Levi Montalcini stava leggendo un giallo di Agatha Christie, quando il telefono squillò. Un’anonima e inaspettata chiamata da Stoccolma le annuncia la vincita del Premio Nobel per la Medicina, insieme al biochimico Stanley Cohen, collaboratore e collega con cui ha condiviso la ricerca iniziata a Torino e proseguita presso la Washington University di St Louis nel Missouri.
Insieme hanno scoperto ciò che lei considera “una molecola meravigliosa”, il fattore di crescita delle cellule nervose (NGF). Rita e Stanley hanno intrapreso un lungo ed entusiasmante viaggio, alla scoperta di una proteina che ha la forza di regolare la crescita degli assoni, ovvero la struttura dei neuroni (cellule nervose) lungo la quale si trasmette l’impulso elettrico nervoso, che riesce a propagarsi per mezzo di alcuni ioni, favorendo il rilascio di un neurotrasmettitore.
“L’intera storia dell’Ngf è paragonabile alla scoperta di un continente sommerso rivelato dalla sua sommità emergente”
Esattamente, come due esploratori alla ricerca del tesoro nascosto nell’isola che non c’è, i due ricercatori hanno spianato la strada ai giovani scienziati di oggi, seminando briciole di scienza e conoscenza da seguire per raggiungere la cura definitiva per sconfiggere malattie degenerative come l’Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica e per individuare i fattori di crescita che incrementano lo sviluppo di cellule tumorali. Un fattore affascinante, che gioca anche un ruolo fondamentale nelle malattie cardiovascolari, nel diabete di tipo 2, nell’obesità e nell’aterosclerosi.
Giusto lo scorso anno, i ricercatori dell’EBRI-European Brain Reasearch Institute Rita Levi-Montalcini, hanno annunciato la scoperta di una molecola o anticorpo A13, che consente di ringiovanire il cervello, favorendo la nascita di nuovi neuroni e contrastando lo sviluppo dell’Alzheimer, nella fase pre-sintomatica. Una malattia che distrugge i ricordi, aliena la mente e cancella quelle pagine di storia che da un momento all’altro ritornano a essere bianche e da riscrivere. Una malattia che spezza i cuori dei familiari quando si sentono anonimi agli occhi della persona affetta e dona sorrisi e gioia in quei rari momenti di lucidità.
Guardo le foto che ritraggono la scienziata nei suoi ultimi anni e ritrovo il viso di mia nonna, dolce e sorridente, con quella sua chioma candida, soffice e sempre ordinata. Nel suo sguardo perso e rivolto all’infinito leggo: “Rita salverà mamme e nonne che come me oggi, avranno la vista e la memoria offuscata dalla nebbia dell’Alzheimer, ma il cuore vivo e acceso d’amore”.
La prima donna italiana a ricevere il prestigioso Nobel per la Medicina
Lei che ha rinunciato volutamente a una vita “normale” per inseguire i suoi sogni e che ha sempre considerato i suoi studi e le sue ricerche molto più di una semplice sperimentazione, ma una missione a favore dell’umanità che ha sete di progresso scientifico.
“Non le fibre nervose, ma le idee germogliavano nel mio cervello, e in modo così tumultuoso da non lasciarmi il tempo di seguire altri pensieri”
Grazie Maestra.