Per prevenire i rischi di un ritorno della pandemia gli italiani farebbero bene a riscoprire i borghi alpini e a spostarsi in zone meno popolate rispetto alle grandi città.
Lo sostengono alcuni giornali europei, soprattutto anglosassoni come il Times, il Telegraph (leggi QUI) o il portale The Local, che nei giorni scorsi hanno dato particolare risalto alle dichiarazioni di Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas.
I due archistar e urbanisti nostrani hanno infatti lanciato una proposta che sa molto di provocazione: il futuro è nei piccoli borghi e la politica dovrebbe incoraggiare un ripopolamento di quei paesi e di quelle “ghost town” dalle quali -almeno fino a ieri- in tanti cercavano di venire via.
Nulla di nuovo però per chi di montagna e di terre alte si occupa da quasi sessant’anni. Non si è fatta attendere infatti la risposta di UNCEM, l’Unione nazionale dei comuni e degli enti montani, che a stretto giro di posta ha ringraziato per l’interesse e ha subito rilanciato con una proposta. «Lavoriamo insieme -dice il presidente di Uncem, Marco Bussone– per rafforzare proprio in montagna e nei piccoli borghi la rete dei servizi».
I 55 giorni di confinamento obbligato hanno infatti aperto uno squarcio su una consistente fetta d’Italia sostanzialmente sconosciuta a chi non la vive. E hanno rimesso al centro della discussione la vocazione delle “terre alte”, destinate a diventare laboratorio per le future politiche di efficientamento energetico, di risparmio di suolo e di economia circolare.
Marco Bussone, come ha vissuto la montagna questa quarantena?
Sindaci e amministratori sono stati in prima linea per affrontare tutte le criticità di questo periodo, a cominciare dal non sempre facile recepimento delle disposizioni governative. I territori hanno affrontato l’emergenza in maniera diversa, perché diverse sono state le ripercussioni paese per paese. Tanti territori hanno reagito bene, perché protetti da sistemi di prevenzione e cura efficienti.
E i 12 milioni di italiani che vivono in montagna?
Abbiamo sperimentato una coesione diversa, i cittadini dei centri medio piccoli hanno dato prova di maturità e civiltà seguendo le regole. Non ci sono stati sindaci-sceriffi come in altre parti d’Italia. Forse perché più abituati alla stagionalità e a guardare alla prossima scadenza imprese e attività hanno lavorato già verso la fase 2 quando ancora era tutta da definire, verso un’estate che comunque -è questione di poche settimane- arriverà anche quest’anno. (Anche per la montagna valgono gli incentivi del bonus vacanze LEGGI QUI)
Adesso siamo nel pieno della Fase2, quali ricadute vi aspettate?
In questi giorni pensiamo soprattutto a come organizzare e gestire l’accoglienza di chi alla montagna torna, per le seconde case o per riprendere confidenza con le buone abitudini pre-virus. Gli amministratori, d’intesa con Enti centrali e locali, dovranno essere bravi a organizzare i flussi “da” e “per” la montagna. La prima risposta da dare è quella della sicurezza, e sarà possibile lavorare in sicurezza solo se si è coesi e attenti, tutti.
I mesi di lockdown cosa hanno insegnato?
Questa emergenza ha messo in luce due grandi questioni. Prima di tutto c’è forte e grave divario digitale che diventa sempre più divario economico e sociale. Più di 1.200 comuni montani in Italia hanno una scarsa copertura delle reti di telefonia mobile, senza contare i coni d’ombra che rendono impossibile la ricezione dei canali della tv pubblica. Ce ne siamo resi conto durante l’emergenza, con l’impossibilità di lavorare da casa o far seguire ai ragazzi delle scuole chiuse le lezioni on line. Il BUL, piano strategico per la banda larga, è in ritardo di due anni. Poi, seconda questione, va ripensata la fiscalità locale.
Meno tasse e più agevolazioni per la montagna?
La politica deve aiutare, con provvedimenti immediati certo, ma soprattutto in prospettiva. Ad esempio, perché non differenziare l’IVA su prodotti e produzioni green realizzate nelle “green communities”, quei territori dove si producono beni ad alto valore aggiunto con ricadute immediate sul territorio. Essere territoriali non vuol dire essere isolati.
I borghi alpini, insomma, meritano più spazio nell’agenda del governo, non solo in tempi di emergenza sanitaria e non solo per le suggestioni del momento. «Ha ragione Boeri -conclude ancora Bussone- buona parte del nostro futuro si gioca nei borghi, che però devono al più presto essere messi al centro di un grande piano nazionale».