Rovkovici è un piccolo villaggio del sud est della Bielorussia, nella provincia di Chechersk a trecento chilometri dalla capitale Minsk, perso in una fetta di pianura tra il Dnieper e il Soj. È difficile da individuare sulla carta geografica, se non fosse per la vicinanza con Tchetchersk o Vetka, più facili da trovare perché ai confini con le zone di “controllo”.
Duecento chilometri più a sud, poco prima del confine con l’Ucraina, inizia infatti la “zona di esclusione”, un raggio di trenta chilometri intorno all’impianto nucleare di Chernobyl a partire dai quali, a cerchi concentrici, si susseguono -in tutte le direzioni- le “zone chiuse”, le “zone di controllo periodico” e quelle di “controllo permanete”.
La notte del 26 aprile del 1986
Trentaquattro anni dopo l’esplosione del reattore 4 della centrale elettronucleare di Chernobyl un territorio di duecentomila kmq nel cuore dell’Europa è ancora contaminato dal materiale radioattivo disseminato dalla nube tossica sprigionata nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986. E continuerà ad essere avvelenato negli anni a venire.
Il veleno ha un nome, cesio-137, un isotopo radioattivo che non esiste in natura ma che si forma come sottoprodotto della fissione nucleare. Se viene ingerito o inalato si concentra nei muscoli e nelle ossa. Durante l’incidente al reattore si stima che ne sia stata rilasciata nell’atmosfera una quantità pari ad 80 petaBecquerel. Il cesio-137 ha un tempo di dimezzamento di trent’anni e per considerare un’area decontaminata occorrono non meno di dieci cicli di dimezzamento. Quindi le “zone di controllo” potranno dirsi decontaminate non prima di trecento anni. Ma ad avvelenare l’intera zona ci sono anche stronzio-90 e plutonio-239, con quest’ultimo che non si dimezzerà prima di 24mila anni.
Ad essere contaminata, insieme all’ambiente, è l’intera catena alimentare, quella animale e quella umana. La radioattività ha causato anemia, cancro -soprattutto alla tiroide- e malattie cardiache a un’intera generazione. E anche i bambini di oggi non sono immuni dalle malattie dei loro genitori e dei loro nonni.
Cosa vuol dire adottare una scuola
Proprio a Rovkovici l’associazione Bambine e Bambini di Chernobyl ha “adottato” la scuola. Dal 2002, grazie a iniziative e raccolte fondi, il comitato ha contributo a realizzare piccoli e grandi interventi di ristrutturazione: il rinnovo degli arredi, l’allestimento dell’aula di informatica e del laboratorio di falegnameria, la costruzione di nuovi servizi igienici all’interno dell’istituto.
«In una comunità povera come quella di Rovkovici -spiegano le responsabili dell’associazione- la scuola è il luogo dove tutti possono semplicemente stare al caldo e ricevere due pasti tutti i giorni». In un ambiente rurale e periferico, poi, scuola e istruzione sono una delle poche opportunità che i giovani hanno per costruirsi un futuro migliore.
Per questo il prossimo passo sarà quello di aprire una scuola estiva,
in grado di garantire ai bimbi uno spazio protetto ed educativo tutto l’anno. «Anche per colpa della piaga dell’alcolismo, infatti, molti genitori non sono in grado di accudire i propri figli, spesso abbandonati a se stessi» spiegano ancora da Bambini e Bambine di Chernobyl.
Amici, anche da lontano
Con Rovkovici è così nata un’amicizia, cresciuta anno dopo anno. «È un piacere per noi, durante le nostre visite annuali, vedere i bambini cresciuti -dicono dall’associazione- e anche loro sono ben contenti di incontrare quelli che ormai sono a tutti gli effetti i loro amici italiani».
Amici che non si abbandonano, soprattutto nel momento del bisogno. Pochi giorni fa, infatti, nel pieno dell’epidemia di coronavirus, dalla Bielorussia è arrivata una lettera dei bambini di Rovkovici. Sono preoccupati per quello che sta succedendo e vogliono far sentire la loro vicinanza. Insieme alla lettera anche una fotografia: tutti in posa con un cuore rosso e la scritta #andatuttobene.