Maria Ausilia Di Falco
Lo Zeitgeist in cui vi condurrà è quello dell’Ottocento. Zeit «tempo» e Geist «spirito». Lo spirito del tempo.
Nessuna lingua come il tedesco è in grado di accoppiare due parole molto diverse tra loro e fonderle in un unico termine che incarna un significato universale capace di diventare simbolo di un qualche movimento che si allarga nel mondo a macchia d’olio. Forse perché la Germania ha sempre ricercato un principio di coesione spirituale che unisse tutti i suoi popoli, trovando la risposta nell’arte.
Per esprimere l’irrazionale con cui la spiritualità umana reagisce alla realtà naturale, i tedeschi si sono inventati lo Sturm und Drang, un’arte che esprime tutto il sublime che le angosce esistenziali, le malinconie, le solitudini creano.
Lo spirito dell’Ottocento in Germania raccoglie la Tempesta e l’Impeto dell’Età di Goethe per restituire al mondo il Romanticismo.
Clara Wieck è stata una delle pianiste più importanti del Romanticismo. Non solo tedesco.
Slacciatevi la cintura, mettetevi comodi. Sul divano possibilmente
Clara inizia a suonare prima ancora di iniziare a parlare.
Proprio così: a quattro anni aveva già mosso le dita sui tasti del suo pianoforte, imparato le dure regole dello studio imposto dal padre –che ne sapeva molto di tecnica e molto poco di diritti dell’infanzia- ma non aveva ancora iniziato a parlare. Credeteci.
Clara ha gli occhi scuri ma luminosi, uno sguardo penetrante, la fronte alta, il labbro inferiore più carnoso di quello superiore. Assorbe la musica sulla sua pelle da sempre, alterna lo studio del pianoforte all’attività fisica all’aria aperta e questo la rende forte. Le sue dita sono di ferro, eppure il suo tocco è di pasta d’angelo. Sprofonda sui tasti scaricando peso, non forza. La musica che si eleva dal suo strumento non viene solo da quelle mani vergini che ha attaccate ai polsi. Viene dalle mani che le escono direttamente dall’anima.
A dieci anni si esibisce davanti a Goethe e da lì a quando si esibirà davanti a Liszt e Paganini, l’Imperatore l’avrà già nominata, a soli 18 anni, la più importante virtuosa da camera del Paese. Da camera, dove una donna di quei tempi doveva stare.
Sfilatevi la camicia. Respirate
Clara usciva sempre dalla sua camera. Per andare a suonare in salone. Per vedere un seppur pallido sole in giardino.
Per esibirsi in concerto in ogni sala di Vienna, in ogni posto della Germania, a Londra, in Russia come la più acclamata concertista dell’epoca.
Per disobbedire a suo padre e incontrare l’amore della sua vita, Robert Schumann. Fino a sposarlo e farci otto figli.
È uscita così tante volte dalla sua camera da arrivare insieme al suo pianoforte anche sulla filigrana di una banconota del marco tedesco lanciandosi nel mondo a venire.
Oltre a diventare una donna statuaria a soli ventun anni, una pianista eccezionale, un’artista spartiacque, Clara diventa moglie. E madre. Una madre che si occupa dei figli, della casa, del marito e del lavoro. Non smetterà mai di lavorare, di fare arte. Per lei, per Robert e per un cenacolo fiorente di artisti che con lui ha creato. Suona, studia, compone.
Compone con una passione e una creatività che esplodono nelle sue note, che saltano come folletti sullo spartito:
E che si depositano anche sugli spartiti di Robert. Lei è la sua musa ispiratrice.
Da una stanza all’altra della loro casa nuova, suonando contemporaneamente si disturbano spesso: lei ostinata con la tecnica, con la ricerca ossessiva del suono, delle note, lui concentrato sul silenzio, su una sonorità intima, sull’innovazione del linguaggio musicale. E tra uno screzio e l’altro, tra un bacio e un altro e un altro ancora, Robert si lascia ispirare, guidare, ruba dalla sua amata. Dalla sua anima, dalla sua musica.
Senza di lei, Schumann non sarebbe stato Schumann. È lui stesso a confessarcelo.
Via i calzini. Poggiate i piedi nudi sul tappeto
Clara e Schumann tengono un diario. Degno della più alta letteratura. Lo iniziano a scrivere il primo giorno del loro matrimonio e di domenica in domenica vanno avanti a scambiarselo per lunghi anni. Una volta scrive uno, chiuso nel suo studiolo, una volta l’altra, chiusa nella sua stanza. Poi si incontrano a metà strada, sotto il lampadario dorato del salone e se lo scambiano. Un diario a quattro mani che profuma di rose fresche di campagna.
“Ogni domenica, la mattina presto, all’ora del caffè … avrà luogo la consegna del diario e nulla vieta che sia accompagnata da un bacio … Io sono davvero il tuo profondamente innamorato marito Robert, e tu?”
“Anche io, tua moglie Clara, che ti è devota con tutta l’anima … La cosa più grande che Dio ha creato è un buon marito.”
Casa Schumann è invasa dalla tenerezza. Dalla frizzantezza che portano otto figli. Ma anche dalle sventure. Robert è un genio incompreso: suona in maniera eccezionale, scrive una musica eccezionale ma diversa, che non viene capita, è direttore d’orchestra, è molto attivo da un punto di vista intellettuale, fa il critico musicale, fonda la Zeitschrift für Musik, la Nuova Rivista Musicale alla quale aderiscono Wieck, Wagner, Heller, Mendelssohn.
Ma sta male. Sta sempre male, tormentato da queste incomprensioni che lo allontano dal mondo, immobilizzato da se stesso. Dietro ogni sua azione concreta c’è sua moglie. È Clara che se ne prende cura. Che lo sostiene, l’unica che lo capisce, che lo spinge ad andare avanti, che non lo tratta come un matto, che lo accompagna ovunque. Anche in manicomio. Dove morirà, lasciandola sola.
E da sola Clara continuerà ad affrontare la vita, la casa, i figli, le spese che fronteggerà come ha sempre fatto: con i suoi numerosi concerti, con le tantissime lezioni private, fondamentali alla stesura del suo metodo di tecnica pianistica che ancora oggi viene usato nelle accademie musicali.
Questo dolore ovviamente lo sfoga sulla tastiera.
Mette in musica i testi di Goethe, di Heine, di Lyser regalandoci dei Lieder tra le più belle pagine della storia della musica:
Giù i pantaloni
Clara vi guarda con la sua pelle pallida e vi disarma. È difficile affrontare lo sguardo di una donna del genere. Lasciarsi toccare dalle sue mani. È difficile resisterle. Ed è difficile starle accanto. Clara ha fame del mondo da quando era piccola, ama a più non posso ma sa anche stare sola.
Non è impazzita a contatto con la malattia psichica di Robert e non impazzisce neanche dopo la sua morte.
Anzi, in questa solitudine si abnega per portare al mondo le opere meravigliose del suo compagno, scontrandosi con i musicisti del tempo, con gli editori che non vogliono avere a che fare con la modernità degli spartiti di suo marito. Allora inizia a curarli lei, li rivede, li abbellisce, li aggrazia fino a ottenere quello che vuole: la pubblicazione. E poi l’approvazione del pubblico che supererà i tempi e giungerà a noi.
Cosa ci saremmo persi senza la musica di Schumann.
Avremmo mai avuto la musica di Schumann senza Clara? Musa, creatrice e rivelatrice. Adesso, rispondete: quanti di voi conoscevano Robert? Quanti di voi conoscevano Clara?
Siete rimasti nudi
Eppure quanti tra voi conoscevano Clara, sapevano di lei che si chiamava Clara Schumann. Invece il suo cognome è Wieck. Si chiamava Clara Wieck.Decidete voi adesso, se amare o no una donna del genere.