Federica Carla Crovella | In letteratura spesso si è parlato di donne “cucendo” loro addosso dei miti, a volte per tentare di legittimare comportamenti, altre volte per rendere universali certe caratteristiche; un’autrice poco nota che ha toccato questo tema in molti dei suoi testi è stata Armanda Guiducci (Napoli 1923-Milano 1992).
Laureata in filosofia a Milano, negli anni Cinquanta è diventa una figura di spicco della cultura italiana del tempo; in particolare attraverso la collaborazione a varie riviste letterarie e politiche della sinistra critica italiana.
Si è dimostrata da subito eclettica scrivendo anche poesie e saggi; molti dei suoi lavori sono dedicati alla condizione della donna e alcuni mostrano e condannano la «mitizzazione» della femminilità.
La Mela e il Serpente
Armanda Guiducci usa proprio questo termine nel suo La Mela e il Serpente, saggio del 1974 in cui, usando lo stratagemma del testo autobiografico, racconta momenti della propria vita comuni a tutte le donne, tracciando un ideale percorso di vita in cui il genere femminile può riconoscersi.
Il libro si apre con la comparsa della prima mestruazione, momento in cui la donna comincia a essere “ricattata” e oppressa dalla mitologia, perché a questa “tappa” della sua vita si legano inevitabilmente superstizioni e credenze ataviche.
Poi racconta l’educazione tipicamente borghese destinata alle ragazze in quegli anni, la maternità, il parto e così via; rievocando ora un episodio ora l’altro, mostra come i miti “assegnati” alla femminilità si siano col tempo cristallizzati e siano diventati inconsci per le donne stesse, condizionandole profondamente non solo nella vita quotidiana, ma anche nella psiche e nel modo di concepire sé stesse.
L’esortazione che l’autrice rivolge alle donne è di liberarsi da questo perenne ricatto della mitologia, per poter “rinascere a nuova vita e diventare altro”; non essere più figlie di Eva e quindi peccatrici. Ecco spiegato anche il titolo del libro.
La donna non è gente
Un altro testo in cui è centrale la componente mitologica è quello pubblicato nel 1977, La donna non è gente, titolo che riprende un detto veneto secondo cui la donna non sarebbe neppure parte del genere umano.
Nel libro sono raccolte nove interviste fatte dall’autrice negli anni ’70 a donne che vivono nelle campagne di diverse regioni italiane.
In questo caso si ricorre all’inchiesta per mostrare come in alcuni casi le tradizioni ataviche locali “schiaccino” le donne e come in altri siano addirittura diventate un tutt’uno con loro; parte integrante del loro modo di essere.
Tra le tante consuetudini che Guiducci passa in rassegna, c’è la dimostrazione della verginità che perdurava soprattutto in Meridione; dopo la prima notte di nozze la suocera pretendeva di vedere la macchia di sangue sulle lenzuola, come prova dell’illibatezza della ragazza.
Da nord a sud, racconta Guiducci, si incontrano anche usanze legate al parto: ad esempio, mettere una scopa sotto il letto o rovesciare una sedia durante la nascita del bambino, con lo scopo di allontanare le streghe dal nascituro.
Sono comuni anche alcune accortezze che, secondo la tradizione, favorirebbero l’allattamento; per esempio, non mangiare dal piatto di altri o non ingerire cibo avanzato da un’altra donna che abbia da poco partorito.
All’Ombra di Kalì
I miti hanno spazio anche nel libro del 1979, All’Ombra di Kalì, in cui l’autrice, durante un viaggio nel continente asiatico, nota che anche fuori dai confini italiani ed europei la vita delle donne è altrettanto condizionata da credenze e tradizioni ataviche.
Come tutti quelli di Guiducci, anche il titolo di questo testo è esplicativo, poiché rimanda alla dea Kalì, che secondo la tradizione mitologica del luogo minaccia le donne con la condanna alla sterilità.
La prima parte del libro è simile a un racconto e ha per protagonista e voce narrante una ragazza indonesiana di nome Wayang, che racconta alcune usanze del suo popolo legate alla femminilità.
Nella seconda parte del testo, che è di nuovo simile a un reportage, torna a parlare Guiducci, illustrando le usanze, i pregiudizi e i miti misogini che riguardano le spose dell’India.
Alcuni di questi miti sono comuni a quelli raccontati in La donna non è gente: ad esempio, sia in Oriente sia in alcune zone delle campagne d’Italia, il sangue mestruale è considerato impuro e impedisce alle donne di frequentare luoghi sacri prima di essersi purificate con acqua benedetta; lo stesso avviene nel periodo successivo al parto.
Anche in Asia, racconta Guiducci, era necessario avere alcune accortezze per preservare l’incolumità delle donne incinte, come difenderle dalle leyak, figure mitologiche che si cibano di intestini di bambini non ancora nati; oppure fare in modo che le future madri non ingeriscano mango e pepe, che non favoriscono le nascite.
Alcune credenze e consuetudini orientali illustrate nel libro ci appaiono quasi irreali, talmente sono lontane dalla nostra concezione: ad esempio, quella secondo cui le donne sterili avrebbero una morte più dolorosa; in questo modo, le conseguenze di una condizione percepita come innaturale per la donna diventano una punizione.
Ancora, passando in rassegna le tradizioni legate al matrimonio, Guiducci racconta che una donna può andare in sposa a due uomini contemporaneamente, purché essi siano uniti tra loro da legami di parentela.
Nota anche che in alcuni gruppi etnici persiste ancora l’animismo, poiché le donne newar, del Nepal, possono sposare un albero o il suo frutto; addirittura, può succedere che trenta o quaranta ragazze vadano contemporaneamente in sposa allo stesso.
Libere dalla mitologia
L’obiettivo dell’autrice rimane lo stesso, poco importa che i testi appartengano a generi letterari diversi o che cambino i registri linguistici; Armanda Guiducci lotta per mostrare quanto sia urgente che le donne si liberino dalla mitologia, che ancora si impone su di loro con troppa prepotenza.