Alice Bertolini | Giovedì 7 febbraio gli studenti torinesi sono tornati a manifestare contro l’apertura del Burger King nella Palazzina Aldo Moro, una delle nuove sedi dell’Università di Torino, costruita in prossimità dello storico edificio di Palazzo Nuovo.
L’Università ha scelto di collaborare con la società U.S.P., University Service Project, per la realizzazione di un complesso di edifici di cui la palazzina fa parte. Dei 15mila mq destinati alla nuova costruzione, 10mila sono destinati a uffici, aule e residenze universitarie, mentre i restanti 5mila spettano a privati, tra i quali appunto il fast food Burger King.
Il costo finale del progetto è di 50 milioni di euro: l’Università ne ha però stanziati solo 7,5, impegnandosi a pagare i restanti 42,5 in rate annuali per i prossimi 29 anni. Solo coinvolgendo soggetti privati l’Università ha così potuto incrementare il numero delle aule destinate alla didattica.
L’obiettivo era offrire nuovi spazi agli studenti, ma proprio questi – o per lo meno una parte di loro – sono rimasti delusi dalle modalità scelte per raggiungere l’obiettivo. Centinaia sono infatti i giovani che si sono mobilitati nelle ultime settimane: le loro manifestazioni sono però di natura ambivalente.
Gli studenti non contestano solo la vendita di spazi universitari ai privati, ma soprattutto la vendita di questi spazi a marchi come Burger King. Si tratta infatti, come scrive il Collettivo universitario autonomo di Torino sulla sua pagina Facebook, di «ingombranti multinazionali che possono permettersi tutto: gli spazi delle università, lo sfruttamento dei dipendenti, l’alto impatto ambientale causato da queste catene produttive».
Un’istituzione, l’Università, che per i manifestanti dovrebbe invece favorire lo sviluppo di una maggiore sensibilità verso l’ambiente e aiutare ad avere più consapevolezza delle dinamiche aziendali che potrebbero danneggiarlo. Una tesi sostenuta anche da Pietro Deandrea, docente di Lingue, che ha apertamente espresso la sua contrarietà all’apertura del fast food negli spazi dell’ateneo. Secondo il professore a rappresentare un problema maggiore è, più che la presenza di privati, proprio l’offerta alimentare che questi propongono.
Nel mirino degli studenti è finito anche l’altro storico marchio della ristorazione fast food, quel Mc Donald’s che ha aperto i battenti a pochi passi dalla Palazzina Aldo Moro, in un edificio una volta sede delle aule studio Edisu.
Non è la prima volta che le due multinazionali vengono contestate. L’accusa di animalisti e ambientalisti è sempre la stessa: avere tra i fornitori aziende e allevamenti intensivi che non si curano delle condizioni di vita degli animali.
Una delle ultime proteste, di grande impatto mediatico, è la campagna di sensibilizzazione che da luglio a ottobre 2018 si è tenuta nella centralissima Times Square di New York: un’installazione pubblicitaria dai toni forti voluta da movimenti ambientalisti ha puntato il dito contro i principali allevamenti di pollame da cui Mc Donald’s si rifornisce negli Stati Uniti.
Questo dà un’idea di quanto, a livello mondiale, il problema dell’impatto dei nostri consumi sull’ambiente sia sentito. Le proteste di Torino non fanno eccezione.