22 Novembre 2024
Federico Cuomo | Ababakar ha 50 anni, è arrivato a Torino nel settembre di trentanni fa e oggi è il presidente dell’Associazione Senegalesi. Con gli occhi e con la mente sogna di tornare in Africa, ma nel cuore è consapevole di aver costruito qualcosa di grande in Italia
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Federico Cuomo | Ababakar ha 50 anni, è arrivato a Torino nel settembre di trentanni fa e oggi è il presidente dell’Associazione Senegalesi. Con gli occhi e con la mente sogna di tornare in Africa, ma nel cuore è consapevole di aver costruito qualcosa di grande in Italia, un paese che ama fin dal suo arrivo nella tarda estate dell’89.

Proprio in quel periodo l’Europa stava aprendo le prime feritoie tra i pilastri del muro di Berlino, e il vento del cambiamento sembrava soffiare verso prospettive di integrazione e multiculturalità.

Per raggiungere l’Italia non c’era stato bisogno di alcun visto, era bastato mostrare il passaporto per prendere un volo e voltare pagina, lasciandosi alle spalle la sua famiglia e il Senegal con un unico obiettivo: trovare un lavoro che gli permettesse di condurre una vita soddisfacente, con prospettive simili a quelle di ogni  ventenne nato sull’altra sponda del Mediterraneo. Allora l’Italia era ancora lontana dalla crisi, le opportunità erano tante e le persone mediamente cordiali con chi arrivava per costruirsi un futuro dignitoso.

Nel capoluogo piemontese Ababakar Seck ha soddisfatto a pieno il suo legittimo desiderio di normalità, trovando un impiego soddisfacente in un’officina meccanica, e costruendo una famiglia con una donna senegalese, tornata in Africa nel 2014 assieme ai suoi tre bambini, dopo anni di permanenza a Torino.

Oggi Ababakar coltiva il suo progetto di rientro, per riabbracciare la sua famiglia, ma nel frattempo dà il suo contributo come Presidente dell’Associazione dei senegalesi a Torino.

Ci incontriamo, assieme all’educatrice e amica di una vita Nuccia Maldera, ai Bagni Pubblici di Via Agliè, centro polifunzionale ormai simbolo di integrazione in Barriera di Milano.

Ababakar, da presidente dell’Associazione sei entrato in contatto con le diverse generazioni di senegalesi giunte a Torino negli ultimi decenni. Nel frattempo il panorama politico e sociale è cambiato molto. I giovani che partono oggi sono consapevoli dei rischi che devono affrontare per raggiungere l’Europa?

Possono immaginarli, ma non tutti ne sono pienamente consapevoli. Dipende dalle condizioni di partenza dei ragazzi. Spesso però si lasciano alle spalle una vita che presenta poche prospettive, molte incertezze, pochissime possibilità di mobilità sociale e quasi nessuna opportunità di poter lasciare il paese per cercare un futuro migliore altrove, come possono fare molti giovani dei vostri paesi

Oggi consiglieresti a un ventenne del Senegal di mettersi in viaggio per l’Europa?

Oggi come oggi non lo consiglio, a meno che non si abbiano degli obiettivi molto chiari. Credo comunque che per un africano la necessità di conoscere il contesto europeo sia importante. Mia moglie, grazie all’esperienza qui in Italia, è cresciuta molto e oggi ha una marcia in più anche nella sua attività in Senegal.

Come è cambiato il Senegal in questi trentanni?

Forse , se penso al tempo  in cui io e i miei amici eravamo giovani e bambini,  dico che la  qualità della vita, era migliore. Oggi  ci sono più  infrastrutture  e servizi ma l’amministrazione pubblica non stimola in alcun modo la media impresa, né facilita efficacemente il rientro dei senegalesi che vorrebbero investire nel proprio paese di origine mettendo a disposizione le competenze acquisite in Europa. Inoltre lo sfruttamento della terra da parte delle multinazionali è un aspetto da tenere sotto controllo se si vuole costruire una strategia di sviluppo sostenibile. Spesso chi oggi vuole impegnarsi nel settore agricolo non sa da dove iniziare, perché i terreni migliori sono già stati acquistati da aziende internazionali.

Quale impatto ha avuto il cambiamento climatico nel tuo paese?

Alcune zone della costa sono state totalmente ricoperte dall’innalzamento delle acque. Nella zona del Sin-Saloum i pozzi sono secchi. Anche nelle zone considerate fertili l’impoverimento della terra produce disastri, che si sommano  alla scarsa possibilità di investimento  e di miglioramento del lavoro e della vita di chi abita i territori  Allo scarso e precario sviluppo si somma l’impatto del cambiamento climatico, così  incrementa l’emigrazione.

Come si potrebbe rispondere a queste problematiche?

Bisognerebbe offrire l’opportunità agli imprenditori senegalesi di diventare autonomi e permettere un’esportazione dei prodotti agricoli d’eccellenza del territorio, abbassando i dazi e predisponendo garanzie che proteggano le colture e regolino il mercato ittico in ottica sostenibile. Sono sicuro che nell’affrontare queste sfide l’Europa si troverà a svolgere un ruolo fondamentale nei prossimi anni.

Questo documento è stato prodotto con il contributo finanziario dell’Unione europea. Il contenuto di questo documento è di esclusiva responsabilità di NutriAid International e non riflette necessariamente la posizione dell’Unione Europea.

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