Gilberto Germani | Presidente ENPA Saronno | Nell’antica Grecia, pare, il primo a denunciare l’ingerimento di carne e l’uccisione degli animali fu Pitagora, introducendo una forma di sensibilismo e orientandosi verso quelli che modernamente si chiamano movimenti vegetariani. Non solo: Pitagora, come Empedocle, credeva nella metempsicosi e non riconosceva alcuna differenza qualitativa tra l’anima umana e quella animale. Questa associazione, che è evidenziata per la prima volta da Ovidio nelle metamorfosi, giustifica anche la loro condanna dei riti divini che comprendessero sacrifici.
Sarà Platone a parlare di una felicità arcaica fondata sul culto di Orfeo che permetteva e prescriveva una vita di simbiosi tra uomini e animali. E la corrente di pensiero riscuoterà notevole successo finché Aristotele non sosterrà che la differenza qualitativa tra le anime è talmente profonda da non conferire alcun diritto agli animali. Ma, a dimostrazione della profondità con cui si era radicata la concezione pitagorica, filosofi come Dicearco e Teofrasto, allievi aristotelici, sostennero che ingiustamente si provocavano sofferenze e privazioni agli animali e che la vita era una valore imprescindibile anche per quelle specie. «Se qualcuno sostenesse che, non diversamente dai frutti della terra, il dio ci ha donato anche gli animali per il nostro uso, gli risponderei che sacrificando esseri viventi si commette contro di loro un’ ingiustizia, perché si fa rapina della loro vita». Ancora, per Sesto Empirico l’uccisione di animali era una palestra di crudeltà e così Seneca, pur stoico, lo prendeva a maestro. Notissimo il suo ribrezzo per il circo.
Plutarco scrive: «Tu chiedi in base a quale ragionamento Pitagora si sia astenuto dal mangiare carne: io, invece, chiedo pieno di meraviglia con quale disposizione, animo o pensiero il primo uomo abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale ucciso, imbandendo le tavole con cadaveri e simulacri senza vita; e abbia altresì chiamato cibi prelibati quelle membra che solo poco prima muggivano, gridavano e si muovevano e vedevano. Come poté la vista sopportare l’uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi come l’olfatto resse il fetore? Come una tale contaminazione non ripugnò al gusto, nel toccare le piaghe di altri esseri viventi e nel bere gli umori e il sangue di ferite letali?».
Anche Porfirio vede una continuità tra uomo ed animale, al punto che ritiene l’alimentazione carnea uno sviluppo del cannibalismo. E così non è giustificato nemmeno il sacrificio in quanto gli animali, come gli uomini, pensano ed hanno un linguaggio. Ed il suo allievo Giamblico riconduce l’alimentazione vegetale ad una vicinanza col dio in base a quell’idea platonica di età dell’oro orfica. Fu il cristianesimo che, fatte proprie queste idee, le generalizzò. Ci troviamo di fronte ad una questione complessa e più propriamente politica che morale. Infatti i cristiani non si rifiutavano né di mangiare carne come i greci, né di uccidere gli animali. Anzi, furono proprio movimenti ereticali come i manichei, i catari, gli albigesi e bogomili a mantenere quelle antiche tradizioni e nel medioevo tra le prove per riconoscere un eretico si prevedeva di imporgli d’uccidere un pollo. Un eretico si sarebbe rifiutato.
Perché si vietavano i sacrifici? Perché erano pagani. Anzi l’idea antichissima che gli animali fossero stati creati in funzione dell’uomo si mantiene radicatissima forse addirittura fino a San Francesco d’Assisi. Ma dopo il movimento dell’Assisiate, dobbiamo aspettare Leonardo da Vinci, che pure sperimentava su animali, per sentimenti animalisti. Di Leonardo sono noti diversi aneddoti per i quali liberava gli uccelli dalle gabbie, oltre al fatto che era vegetariano e ammirava talmente il mondo animale che lo prese a modello per le sue creazioni.
Allo stesso modo tutta la tradizione delle utopie, seguendo il grande modello della Repubblica aristotelica, da Tommaso Moro a Erasmo da Rotterdam, immaginano un mondo privo di violenza sugli animali. Ancora, volendo fare un veloce elenco, grazie allo scetticismo che gli prescrive di non prestar fede ai nostri ragionamenti in quanto privi di atti di volontà, Montaigne, in Apologia di Raymond Sebond, non riconosce la superiorità degli uomini sulle altre specie (specismo) e, in Della Crudeltà, ritiene che l’uomo abbia l’obbligo etico di “grazia e benignità” verso gli animali.
Dopo Montaigne il desiderio di ricerca supererà nelle priorità degli intellettuali la salvaguardia degli animali e sarà Antonio Cocchi, prima di Voltaire, ad ammirare il rispetto pitagoreo pur senza che questo implichi alcun atteggiamento pratico. Voltaire, invece, scaglierà i suoi velenosissimi pennini contro la vivisezione. Anch’egli non riconosce la differenza sovrannaturale tra uomini e animali e questo rende ingiustificabili perfino le condizioni inumane con cui vengono trattati non solo gli animali da laboratorio, che già nella definizione sembrano essere cartesiane macchine e nemmeno più animali, una specie a sé, ma anche gli animali d’allevamento di cui parla in Elementi della filosofia di Newton; nel Saggio sui costumi; nel Dizionario Filosofico; in la Principessa di Babilonia; e soprattutto in Dialogo del Cappone e della Pollastrella. Voltaire polemizza contro i vivisezionisti: «la natura ha forse collocato in lui tutte le molle del sentimento perché non senta?».
Il vero pensiero d’opposizione Comincia con Condillac (un abate!) che con il Trattato degli Animali del 1755 parifica la sensibilità animale a quella umana. In particolare mostra che i comportamenti ritenuti naturali (l’istinto) sono invece frutto dell’esperienza e conseguentemente assimilate all’intelligenza. Charles Bonnet in Palingenesie Philosophique riconosce agli animali carattere individuale, propria ragione d’essere e, in Contemplazione della Natura, anima immortale. Rousseau nell’Emile 1762 consiglia il vegetarianismo per rispetto agli animali. Shelley riterrà la dieta carnea causa originaria di violenza, malattie e avidità. Lev Tolstoj diventò fervente sostenitore dei diritti animali dopo una visita al mattatoio e documentò la “conversione” ne Il Primo Passo. E, con Jeremy Bentham, che riconosce dei diritti, e parla esplicitamente di leggi che dovrebbero tutelare non tanto per la razionalità dell’essere quanto per la sensibilità, siamo giunti ad una concezione moderna dell’utilitarismo. «Perché dovrebbe la legge negare la sua protezione a un qualsiasi essere sensibile?»
Anche Arthur Schopenhauer li ritenne manchevoli della ragione, e, con simile esito, ammise che provassero sentimenti e dichiarò che la riflessione sui diritti degli animali dovesse entrare anch’essa a buon diritto nella filosofia morale.