JB | VIDEO | Sono passati ventitré anni dal 6 novembre del 1994, il giorno dell’alluvione che devastò il Basso Piemonte. A finire sott’acqua e nel fango le province di Alessandria, Asti, Cuneo e in parte anche Torino. Settanta i morti e 2.300 gli sfollati. Ventimila miliardi di lire i danni. In appena 48 ore, tra sabato 5 e domenica 6 novembre, caddero 600mm di pioggia. Allora non si usava ancora, come oggi, il termine “bombe d’acqua”, ma il risultato fu lo stesso. La pioggia iniziò il 2 novembre, continuò il 3 e il 4 e aumentò nella notte del 5 novembre, quando iniziarono le esondazioni e le frane. Le precipitazioni causarono un’ondata di piena del fiume Tanaro che da Garessio (CN) scese a valle, trascinando con sé tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
Un’ondata che non si fermò neanche una volta arrivata in pianura: anzi, proseguì e nella mattina del 7 novembre raggiunse il Po. Ad Asti, Alba e Alessandria l’ampiezza della piena del Tanaro toccò i 4.000 metri cubi al secondo: metà di Alessandria fu sommersa e morirono 14 persone. Danni anche tra Ceva e Cherasco (CN), alla confluenza con la Stura di Demonte. Anche la portata del Belbo, un torrente affluente del Tanaro, raggiunse livelli mai registrati: 1.330 metri cubi al secondo, il 220% in più del normale. Qui la piena cambiò la fisionomia stessa del corso d’acqua, scaricandosi su Canelli, Santo Stefano, Cossano, Incisa Scapaccino e Rocchetta. A Canelli i morti, travolti dall’acqua, furono tre. Dall’inondazione si salvò solo Nizza Monferrato, toccata marginalmente dall’ondata di piena. A causa delle intense piogge il livello del Po crebbe notevolmente, anche per l’eccezionale apporto d’acqua dei fiumi Orco e Dora Baltea. L’ondata di piena a Chivasso fece crollare il ponte sul Po; Trino Vercellese venne sommersa e venne danneggiata anche la centrale nucleare.
Oltre ai morti, al disastro, ai danni l’alluvione del 1994 fece riscoprire a tutta Italia il sentimento della solidarietà, con i tanti volontari che arrivarono in Piemonte per spalare fango, portare via macerie e aiutare chi in una notte di pioggia aveva perso tutto. Una solidarietà anche istituzionale, come nel caso del Comune di Ferrara che prestò i suoi autobus al Comune di Alessandria, rimasta senza mezzi per il trasporto pubblico. L’alluvione portò con sé anche la consapevolezza che in Italia serviva una nuova cultura della Protezione Civile.
Nel corso di quasi 25 anni, però, poco si è fatto per cambiare la situazione. Lo ha denunciato Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: «abbiamo fatto poco per rendere sicuro il territorio e più moderno questo Paese, ma abbiamo continuato solo ad inseguire le emergenze e a spendere capitali ingentissimi per tamponare le emergenze, condendo il tutto con qualche condono edilizio». L’Italia resta una nazione a rischio di dissesto idrogeologico, per la sua conformazione idrografica e orografica e soprattutto per l’incuria e lo sfruttamento del territorio. Dal 1994 «sono cambiate molte cose -ha detto pochi giorni fa il sindaco di Clavesana Luigi Gallo durante la cerimonia in ricordo delle vittime dell’alluvione- l’anno scorso abbiamo avuto una nuova alluvione, è arrivata più acqua di allora ma il territorio ha retto, e soprattutto non ci sono state vittime, eppure dobbiamo lavorare ancora molto perché il fiume sia realmente sicuro».