Gilberto Germani | Presidente ENPA Saronno | Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia il numero dei cacciatori registra un andamento decrescente: si è passati da 1.701.853 nel 1980 (3% dell’allora popolazione italiana) a 751.876, nel 2007 (1,2% dell’attuale popolazione italiana) con una drastica riduzione del 55,8% (57,9% in rapporto alla popolazione italiana). Attualmente, la maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra i 65 e i 78 anni, e l’età media è in aumento. Risiedono soprattutto in Toscana (110 mila), in Lombardia (100 mila) e in Emilia Romagna (70 mila), ma anche in Piemonte (40 mila), Veneto (46 mila), Lazio (55 mila), Campania (45 mila), Sardegna (46 mila) e Umbria (40 mila). [Fonte Coldiretti su dati Istat e Federcaccia anno 2016]
Non è possibile avere neppure una stima minimamente affidabile che riporti il numero di animali ammazzati dai cacciatori ogni anno. Questo perché i dati sono dichiarati dagli stessi cacciatori che devono segnare il numero di animali uccisi sul tesserino venatorio rilasciato dalle province.
Ogni animale ucciso deve essere detratto dal carniere annuale, cioè dal numero massimo di animali che ogni cacciatore può legittimamente uccidere. E’ chiaro quindi che nessun cacciatore ha il benché minimo interesse a segnare tutti gli animali che uccide, secondo l’equazione: meno ne segna, più ne può ammazzare.
Utilizzando i calendari venatori di quattro regioni, Lombardia, Veneto, Toscana e Sicilia, abbiamo però calcolato quanti animali possono essere legittimamente uccisi: 163.762.034! Per sole quattro regioni.
Se proviamo a riportare la cifra sulle venti regioni del nostro Paese, sulla base del numero di cacciatori, si ottiene l’impressionante cifra di 464.597.479!
Quasi mezzo miliardo di animali può essere legalmente ucciso ogni anno. A questo numero, però, devono essere aggiunti altri milioni di animali uccisi nelle altre forme dai cacciatori e per i quali non esiste alcun dato realistico.
L’attività venatoria causa danni, ecologici e ambientali, entrambi motivi che dovrebbero bastare per abolirla.
Il danno ecologico è gravissimo, poiché la caccia è responsabile dell’estinzione generale o locale di alcune specie animali.
Negli ultimi quattro secoli, infatti, su oltre 202 specie estinte, almeno 56 devono la loro scomparsa alla caccia e almeno 13 all’azione congiunta di essa con altri fattori.
Il prelevamento e il ripopolamento della fauna selvatica, inoltre, generano pericolosi squilibri naturali e danni, genetici e sanitari, irreparabili.
I cacciatori, poi, non si limitano con la loro crudele pratica all’uccisione di animali, ma contribuiscono, anche in maniera considerevole, all’inquinamento ambientale. Ogni cartuccia, infatti, contiene circa 35 grammi di piombo, nocivo per l’ambiente e tossico per gli animali. Il piombo, cadendo sui terreni coltivati o prativi, inquina la terra e le falde acquifere ed entra negli alimenti di molti animali e uomini mentre, depositandosi sul fondo di laghi e stagni, provoca la morte di numerosi uccelli acquatici che ingeriscono i proiettili insieme agli insetti e ai molluschi di cui si cibano.
Il metodo più semplice e tradizionale per abbattere gli animali è costituito dalla caccia vagante, nella quale l’uomo va alla ricerca della selvaggina nel suo ambiente, spesso coadiuvato dal cane. Molto più redditizia è, però, quella esercitata mediante appostamenti, fissi e mobili, dove l’uomo sta fermo in attesa della preda richiamata con appositi accorgimenti. Per il richiamo degli animali si ricorre a pasture di cibo, uccelli finti, richiami acustici o animali vivi catturati tramite uccellagione.
L’uccellagione è la cattura indiscriminata d’uccelli con le reti per scopi gastronomici, amatoriali, scientifici e per procurarsi richiami vivi per la caccia d’appostamento, in altre parole la cosiddetta “caccia con lo zimbello”. Gli zimbelli sono uccelli vivi, legati per la coda, le narici o mediante imbracatura, appollaiati su posatoi mobili, che sono usati per sollecitare la curiosità di certi uccelli o l’aggressività di altri. La funzione dei richiami vivi è quella di attirare gli uccelli liberi con il canto e, poiché gli uccelli cantano solo in primavera, mentre la caccia si svolge in autunno e in inverno, i soggetti sono sottoposti a un particolare trattamento chiamato “chiusa”, per farli cantare in queste stagioni. Tale trattamento si traduce in reclusione forzata e dolorosi procedimenti, quale lo strappo delle penne e l’accecamento.
L’uccellagione è da ritenersi illecita, poiché la legge 157 dell’11 febbraio 1992 è stata modificata con Decreto Legge n. 91 del 24 giugno 2014 in merito all’abolizione dei richiami vivi. Ma nonostante ciò, è ancora permessa in alcune regioni, con l’unico vincolo della limitazione del numero dei soggetti catturabili.
I bocconi avvelenati, anche se non sono una forma di caccia vera e propria, sono a essa strettamente connessi. Queste pallottole di cibo imbevuto di stricnina o acido cianidrico sono state largamente impiegate in passato per eliminare i cosiddetti nocivi, animali predatori che, per la propria alimentazione, sottraggono ai cacciatori fauna selvatica e non. Oltre che inefficaci e nocivi anche per l’uomo, i bocconi avvelenati costituiscono un metodo aspecifico, che colpisce indiscriminatamente ogni genere d’animale, compresi quelli rari, protetti e domestici. Per questi motivi ne è vietato l’uso, ma le violazioni non mancano e sono numerosissime.
Parallelamente alla caccia, purtroppo legalmente ammessa, si sviluppa l’attività dei bracconieri, ovvero cacciatori che, per evitare tasse e regolamenti, uccidono diverse specie di animali con lacci, archetti, trappole, tagliole, reti e altri strumenti di tortura, che imprigionano i soggetti anche per giorni e li fanno morire con atroci sofferenze.
Ai danni ecologici e ambientali si aggiungono diversi altri motivi per i quali la caccia non dovrebbe esistere.
Nessun animale può difendersi contro un’arma da fuoco, delle frecce, una trappola, un laccio o un’esca: La caccia è una competizione assolutamente impari.
Molti considerano la caccia eticamente ammissibile perché legale, ma la legalità non la rende moralmente accettabile.
La caccia, incoraggiando una dannosa mentalità d’appropriazione delle risorse naturali, risulta antidemocratica nei confronti della maggioranza della popolazione: il poco più dell’1% dei cittadini si arroga il diritto di distruggere la fauna che è un patrimonio inalienabile dell’intera comunità.
Non può essere considerata, infine, né divertimento né amore per la natura perché, oltre a ledere i diritti alla vita, alla libertà e alla non sofferenza d’essere senzienti, la caccia si basa su principi di distruzione e morte, generando danni e ricadute ambientali.
E’ di questi giorni la notizia di quanto hanno fatto i cacciatori in Toscana ad un lupo: scuoiandolo e appendendolo, a testa in giù, ad un cartello stradale alle porte di un bellissimo Borgo Medioevale: Suvereto (ne abbiamo parlato qui). Tutti i sindaci dei paesi limitrofi hanno tacciato di infamia l’azione ed è stata anche messa una taglia di 30.000 euro sugli autori del vile atto.
Purtroppo, passato il momento emotivo e lo scoop giornalistico, tutto tornerà come prima dimenticando che è stato proprio il cacciatore a portare alla quasi estinzione gli unici due nemici del cinghiale (uomo escluso) la lince ed il lupo. E poi ci si lamenta per il proliferare dei cinghiali, programmando soluzioni drastiche per ridurne la quantità. Ma quando l’uomo si deciderà a rispettare il ritmo naturale della natura?