Valeria Rombolà | Quanta vita serve per dimenticare il passato? Saroo, il protagonista del film Lion, ci ha messo venti’ anni, ma non ci è riuscito. Tratto da una storia vera, il film narra la vita del giovane Saroo che, solo e perso nell’immensa stazione di Calcutta, inizierà la sua lotta per la sopravvivenza, guidato dal suo solo istinto e dalla sua sensibilità. La svolta nella sua vita arriverà quando una giovane coppia australiana deciderà di adottarlo. Il bambino cresce così nel benessere e di una casa e nell’affetto di una famiglia. Ma basterà un ricordo per far riaffiorare in lui le sue vere origini e il desiderio di ritrovare la strada di casa, persa un giorno di tanti anni prima.
Il film è un lungo flusso di coscienza, dove l’anima del giovane Saroo è il perno dell’intera storia, che smuove profondamente i sentimenti dello spettatore. La camera di Garth Davis è fissa sugli occhi dei protagonisti trasmettendo il tormento e l’ingiustizia provata dal giovane protagonista. Neanche l’educazione, una casa, il benessere hanno messo a tacere i fantasmi della sua coscienza, concedendogli un attimo di serenità. Per quella ci vogliono basi ben ancorate a terra, che solo la famiglia in cui si è nati può trasmettere. L’altro protagonista del film è infatti proprio il fratello ,Guddu. Il grido disperato del suo nome che Saroo fa dal treno che lo allontanerà da casa rimbomba nelle orecchie dello spettatore per la sua tragicità. Guida e mentore dell’intera vita di Saroo, indimenticabile per lui fino alla fine.
Il suo viaggio si conclude con un lieto fine: un dolce trittico familiare che commuove senza banalizzare la ricerca disperata del giovane. E ci insegna che anche nella difficoltà più assoluta «continuerò a rialzarmi, quando cadrò a terra non mollerò mai, no, non mollare mai. Io troverò la mia strada»