Chiara Cuttica | Il giornalismo web è nato negli anni ’90 in America e sostanzialmente altro non era se non una copia della versione stampata su carta. Nel 2016 le informazioni su internet non sono più un duplicato dei giornali cartacei: sono magari le stesse notizie ma con linguaggi, target, obiettivi differenti. La grande rivoluzione dell’informazione digitale consiste in una comunicazione orizzontale e non più verticale. Sul web si cercano notizie veloci e attendibili, sempre più corredate di testimonianze concrete come i video o le fotografie. Un altro fattore che sta cambiando il modo di comunicare è rappresentato dai canali di diffusione delle notizie. È il content (contenuto) il re del web, che diventa anche il re dei brand. Il brand journalism è quando il brand si fa medium e quindi linea editoriale, giornalisti, diffusione e redazione sono tutti interni al brand.
Con il digitale l’informazione si stacca da ogni supporto comunicativo, il contenuto e la divulgazione sono interni al marchio. I cambiamenti fanno intendere che ogni persona potrebbe potenzialmente far parte di una catena mediatica collettiva e quindi giornalistica, come nel 2009 diventò notizia il tweet dell’areo atterrato nell’Hudson.
Sicuramente fare giornalismo è molto più complesso, ma chiunque può compiere atti di giornalismo (la definizione è di Josh Stearns, direttore del progetto di Journalism sustainability della Geraldine R. Dodge nel New Jersey) perché fa parte di un processo informativo.
Perché allora non si possono accettare queste azioni da parte degli individui e dei brand? Potrebbe essere una possibilità in più rispetto ai modelli tradizionali, che a volte soffocano i piani editoriali classici non più al passo con i tempi.
Brand journalism. Storytelling e marketing di Roberto Zarriello pubblicato dal Centro Documentazione Giornalistica spiega strumenti e regole di un settore nuovo per il giornalismo di casa nostra. Utile per i professionisti dell’informazione e per chi vuole essere lettore attento e informato.