di Jacopo Bianchi | A cinque giorni dall’inizio dell’Europeo di calcio l’immagine scontata e banale che però meglio riassume l’Italia dei Comuni al voto è quella dei tempi supplementari. In tutti i capoluoghi di regione -Cagliari esclusa- non è bastato il primo turno per eleggere il sindaco e tra due settimane i seggi torneranno ad aprirsi per i ballottaggi a Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Città accomunate da una partecipazione al voto appena sopra la sufficienza (vincono i felsinei con il loro 59% di affluenza) ma città comunque molto diverse tra loro. E l’esito del voto lo testimonia. A Milano sarà una sfida tra centrodestra e centrosinistra con due candidati “intercambiabili”, a Napoli la lista civica dell’uscente De Magistris dovrà arginare il ritorno di Forza Italia, a Roma e Torino il centrosinistra saggerà la consistenza dei candidati e dell’elettorato pentastellato. Sotto il Colesseo tocca a Giachetti rincorrere, all’ombra della Mole Fassino dovrà mantenere a debita distanza la sua sfidante. Nell’una e nell’altra capitale il Movimento si è affidato a due candidate (Raggi e Appendino) e in entrambi i casi il divario da colmare è il medesimo: undici punti. Se sarà un margine di sicurezza (per chi domenica notte era davanti) lo sapremo tra due settimane.
Soffermiamoci su quanto successo a Torino. Il fortino di Asterix resiste, anche se con qualche crepa nelle palizzate. Il PD ha riportato il risultato più soddisfacente tra tutte le città al voto e come ha detto a caldo il segretario regionale Davide Gariglio “non ci sono ragioni per essere depressi”. Depressi magari no, ma preoccupati e attenti certamente sì. Rispetto a cinque anni fa il centrosinistra ha perso 95.000 voti e il 15% dei consensi. Nel 2011 Piero Fassino staccò il pass per Palazzo Civico al primo turno portando a casa un 56,6% di preferenze. Quest’anno il pallottoliere si è fermato al 41,8%. Il PD, dal canto suo, non è più il primo partito in città: ha avuto un calo di 5 punti, dovuto anche a quel -9% di torinesi che si sono recati al seggio, e ha ceduto il primato proprio al Movimento 5 Stelle. E non è andata meglio ai compagni di viaggio. I Moderati non hanno sfondato e rispetto alle previsioni che li attestavano intorno al 10% si sono dovuti accontentare di un ben più modesto 6%. Tradotto in seggi, appena tre consiglieri a Palazzo Civico. L’emorragia di voti non è però stata a senso unico: i Cinquestelle hanno eroso consensi ma senza cannibalizzare il centrosinistra. Dei 95mila voti persi da Fassino un terzo –dicono gli analisti– ha premiato Chiara Appendino. Gli altri due terzi si sono persi nei rivoli di altri candidati e nel partito dell’astensione. Discorso a parte per le Circoscrizioni. Nei quartieri il Movimento non ha fatto breccia e il centrosinistra ha vinto, pur faticando. Soprattutto alle Vallette e a Barriera Milano dove la maggioranza in consiglio sarà di un solo voto.
Tempi supplementari, si diceva. Due settimane che Piero Fassino verosimilmente impiegherà per cementare quanto fatto fino ad ora, puntando a riportare al seggio il 41% dei torinesi che hanno votato per lui. Per Chiara Appendino -che da subito ha rispedito al mittente proposte di apparentamento- sulla carta il compito è più arduo: dovrà convincere almeno una parte del 9% di astenuti e raccogliere le simpatie di quanti a destra e a sinistra hanno in animo uno sgambetto al sindaco uscente.