JB | Sono passati trent’anni dall’incidente nuclerare di Chernobyl e oggi, lungo in confine tra Bielorussia e Ukraina, un’area vasta quanto il Lussemburgo è diventata un nuovo ecosistema dove l’uomo non mette mai piede.
A raccontare la vita che torna in un territorio tra i più contaminati al mondo è un reportage dell’agenzia Reuters, Chernobyl wilderness regained realizzato dal giornalista Vasily Fedosenko.
Nella parte bielorussa i villaggi abbandonati nel 1986 perché esposti alle radiazioni e ormai in rovina sono territorio di caccia per alcune specie di predatori come lupi, volpi e falchi. Altri uccelli, soprattutto gufi e gazze, nidificano sui tetti e nei camini delle case. Mandrie di bisonti e alci pascolano nelle pianure.
Secondo Hanna Vronska, ministro ucraino dell’Ambiente, per i prossimi 24mila anni nessun uomo potrà tornare a vivere in quelle zone ma foreste paludi e praterie ospitano già una popolazione autoctona di animali. Proprio l’impatto a lungo termine delle radiazioni -scrive Fedosenko- è al centro di un acceso dibattito: gli scienziati stanno cercando di capire quale sia l’interazione tra gli effetti positivi dell’assenza dell’uomo e quelli negativi di un ambiente comunque avvelenato. Nonostante le radiazioni, infatti, il numero di esemplari di lupi è sette volte più alto qui che in altre zone non contaminate della Bielorussia.
Anche per questo, di là dal confine, il governo ukraino sta pensando di trasformare le zone vietate in un’area protetta. L’idea è di poter studiare la popolazione animale in quella che potrebbe essere la più grande riserva naturale in Europa.